Selezionato fra i migliori libri dell’anno dal New York Times, I gufi dei ghiacci orientali è, allo stesso tempo, il racconto avventuroso e avvincente di una missione nel profondo della tundra russa alla ricerca del misterioso gufo pescatore e una galleria di indimenticabili tipi umani. Un reportage narrativo dal taglio romanzesco che ricorda le grandi avventure di Gerald Durrell.

«Il mio primo gufo pescatore lo vidi nel Primoŕe, nel cuore dell’Asia Nordorientale. Da cento anni nessuno aveva più avvistato gufi pescatori così a sud.» Inizia così il racconto di Jonathan Slaght alla ricerca dei gufi pescatori di Blackiston, alti quasi un metro e con un’apertura alare di due, eppure capaci di svanire per mesi fra i ghiacci. Su un gelido artiglio di terra sporto sul Mar del Giappone – fra orsi e mercenari, una tigre dell’Amur dal fiuto imbattibile e un eremita che sostiene di conoscere il segreto della telepatia – quella di Slaght per salvare i gufi pescatori diventa una corsa contro il tempo, perché le terre selvagge necessarie alla loro sopravvivenza si assottigliano di giorno in giorno, vittime di scellerate politiche di sfruttamento ambientale. Racconto avventuroso di una missione sul campo e di una vita intera dedicata alla salvaguardia di questi misteriosi animali, I gufi dei ghiacci orientali è anche il ritratto malinconico di una terra – l’estremo oriente russo – che rischia di sparire e delle donne e degli uomini che la abitano: bracconieri dal passato ambiguo, pescatori temerari, uomini ruvidi sempre pronti ad alzare il gomito, studiosi eccentrici e al limite della prepotenza. Con la capacità immaginifica dei grandi scrittori naturalisti, Jonathan Slaght trasporta lontano i lettori, chiede loro di immedesimarsi in preda e in predatore, e in chi cerca, anche a costo di gravi rischi personali, di preservare l’inesauribile meraviglia del mondo, una specie alla volta.