Ogni anno in agosto Alfonso Tiburón de Mendoza, Ispettore alle strade della provincia di Saragozza, si rifugia nella sua vecchia scuola, deserta per le vacanze estive, si stringe nel banco che occupava da bambino e nell’aula vuota si abbandona all’unico lusso della sua vita: scrive. Racconta storie e divaga seguendo il corso dei pensieri, convinto che fra strade e storie non ci sia poi una gran differenza: entrambe, con i loro intrecci e deviazioni, portano comunque da qualche parte. E così Tiburón si avvia ad affrontare il tema che gli sta a cuore, la perfetta bellezza e la perfetta felicità, addentrandosi nell’unico mondo in cui la perfezione è possibile: il mondo della fiaba. «C’era una volta un tempo», racconta, in cui l’Olanda non era il piccolo e ordinato paese che conosciamo: si prolungava a sud in una terra montagnosa e selvaggia, infestata da banditi, dimenticata dal progresso. È in questa terra del possibile che si svolge la storia di Kai e Lucia, una coppia di incantevole bellezza, l’incarnazione della perfezione e dell’armonia, illusionisti di circo costretti a cercare lavoro tra le montagne dei Paesi Bassi. Ma ecco che qualcosa intacca quella perfezione: una minuscola scheggia entra nell’occhio di Kai, rendendolo facile preda della Regina della Neve, temibile capobanda che ne fa il suo amante. Toccherà a Lucia partire alla ricerca della metà perduta. Andersen, ovviamente, ma anche Platone, e Kundera e infinite altre ombre vengono a tener compagnia a Tiburón. Perché parlando di fiabe, parla anche di miti, di religioni, di paesaggi, di leggere e di vivere: mentre racconta, scrive quel libro «fatto dei pensieri che l’autore ha pensato mentre scriveva» che aleggia intorno a ogni libro e che, più di tutto, affascina il lettore.