Ogni pescatore sa raccontare dove e quando è nata la sua passione per quest’arte, oggi confusa con uno sport ma in realtà più simile a una pratica filosofica. Per Tallack – che in questo libro dà prova di un’impareggiabile capacità di trasformare la natura selvaggia in materia letteraria – la passione è nata a nove anni, sulle rive di un laghetto nascosto nel folto della foresta di Scaland, nel Sud dell’Inghilterra. Lì Tallack sperimenta un tipo di consapevolezza inusuale, che anche in seguito avvertirà soltanto con una canna fra le mani: non importa quanto la mente vaghi – come inevitabilmente fa nelle lunghe attese prima che un pesce abbocchi –, quando si pesca si abitano sempre un qui e un’ora che sono unici, irripetibili. Scorrono così attraverso queste pagine i torrenti delle Shetland, i fiumi azzurri del Nottinghamshire, i laghi della Scozia; ma scorrono anche i ricordi dell’infanzia e dei pomeriggi soleggiati con il fratello, e quelli più recenti degli anni in cui la pesca è diventata un’esperienza solitaria, un’occasione per confrontarsi con se stessi. Scorrono, infine, i pensieri, le domande. Perché pescare, oggi, significa confrontarsi con il problema etico della sostenibilità e del rapporto che instauriamo con le altre specie animali; ma anche fare i conti con un ritmo diverso, fatto di immobilità e perfino di noia. Un ritmo che è anche un modo, insieme nuovo e ancestrale, di guardare alla natura incontaminata e alla sua inesauribile ricchezza e meraviglia.