Bo Carpelan
Il libro di Benjamin
Bo Carpelan
Il libro di Benjamin
Postfazione di: Massimo Ciaravolo
Prima edizione: 01 gennaio 2003
Pagine: 288
Prezzo di copertina: € 15,00
«Penso, dunque sono. Può bastare?… Che razza di vita è, Cartesio?» Posso stare nella mia stanza a pensare e a esistere quando nella stanza accanto chi soffre grida: aiutami? E’ da questo interrogativo che parte il lungo viaggio di Benjamin Trogen verso se stesso, verso la ricerca di quella verità, di quell’assunzione di responsabilità che può contribuire a rendere «la vita comprensibile e di qualche valore», e insieme trasformarlo da traduttore, vissuto nell’ombra di parole altrui, in scrittore che può alla fine dire: «Ho scritto, dunque sono esistito». Il libro di Benjamin è il diario di un anno, l’immersione nella camera oscura della memoria fino a farne emergere un’immagine volutamente dimenticata: un’estate, un’infanzia, un pontile, un litigio con l’amico Olli, una caduta e un tuffo nell’acqua dove Olli resta immerso troppo a lungo. Le riflessioni sulla quotidianità, la vecchiaia, i figli, la politica, il tempo, i ricordi, che sembrano tergiversazioni, sono in realtà gli strumenti che lo spingono a partire, a lasciare la sua città «costruita dai venti e dal silenzio», per ritrovare il passato, i suoi luoghi e i suoi personaggi, incontrare Olli e arrivare a sapere se è colpa sua se l’amico è demente. Forse, come il biblico Beniamino, è innocente di quella coppa nascosta nel suo sacco, o forse non esiste innocenza davanti alla «richiesta di aiuto e di conforto di tutti i tormentati cui voltiamo le spalle»? Scrivere non per ricordare, ma per dimenticare? Per parlare di tutte le cose insignificanti, avvenimenti, paesaggi, persone e accorgersi che niente è insignificante, che nelle cianfrusaglie della vita ci sono mattinate limpide, incontri luminosi, il dubbio, l’inesplicabile, perdite irrimediabili e vuoti che fanno male, tra le cose da salvare, che la malinconia può essere una forma di lucidità, la rassegnazione il legittimo rifugio al pensiero che non si può fare nulla in molti campi, e l’idealismo una via, «se non pone l’ideale troppo in alto, ma sopra il pessimismo, di qualche centimetro».