Approfondimento

«La suite di Giava» di Jan Brokken: mamma, adesso so davvero chi sei

Approfondimento

«La suite di Giava» di Jan Brokken: mamma, adesso so davvero chi sei

Data: 10 Gennaio 2024

Vi riportiamo l'articolo di Cristina Taglietti dedicato a «La suite di Giava», pubblicato su La Lettura il 12/11/2023, in occasione di BookCity.

Jan Brokken conosce veramente la madre Olga soltanto dopo la sua morte, nel 1983, quando la zia gli consegna trentanove lettere che fino a quel momento aveva tenuto in cassaforte. Olga le ha spedite alla sorella dall'Indonesia: a 23 anni, nel 1935, si era trasferita dall'Olanda prima a Giava, poi a Sulawesi (allora Celebes) con il marito Han, pastore protestante, studioso di teologia ed esperto di Islam. Lo avevano fatto per convinzione, spiega Brokken: «I miei genitori credevano seriamente di avere una missione civilizzatrice da compiere in quell'angolo sperduto dell'arcipelago malese: il loro bagaglio comprendeva un sacco di idealismo», anche se già a Buitenzorg (oggi Bogor), la prima città dell'Indonesia in cui si trasferirono, «si chiedevano con un filo di inquietudine come sarebbe andata a finire».

Giornalista, viaggiatore, scrittore inclassificabile in un genere preciso, Brokken si colloca all'incrocio di quella narrativa mista a cui appartengono, in modo diverso, autori come W. S. Sebald (una citazione da Austerlitz non a caso è posta in esergo di questo libro: «La verità è altrove, in un luogo remoto che nessun uomo ha ancora scoperto»), Cees Nooteboom, ma anche Bruce Chatwin. Narratori, saggisti, flâneur, viaggiatori, sempre a caccia di storie e di personaggi. Come Brokken ha fatto in tutti i suoi libri: il bestseller «Anime baltiche» in cui usa memoria, biografia, romanzo, reportage per raccontare vite e luoghi non ordinari; «Il giardino dei cosacchi», dedicato al periodo siberiano di Dostoevskij o, ancora, «L'anima delle città» in cui ripercorre le tracce di Erik Satie a Parigi, di Gustav Mahler ad Amsterdam, di Giorgio Morandi a Bologna, fino ad arrivare nella Cagliari di Eva Mameli Calvino, la madre di Italo, illustre naturalista e prima donna a dirigere un giardino botanico in Italia.

Con «La suite di Giava» lo spunto dell'indagine è tutto famigliare: lo scrittore si mette sulle tracce della madre e si imbatte in Leopol'd Godovskij, grande pianista e compositore ebreo di origine russa, nato in Lituania, che, come Olga, cadde sotto l'incantesimo dell'isola indonesiana. Lì scoprì una cultura musicale estremamente raffinata la cui espressività era affidata a strumenti che, come il pianoforte, sono a percussione: un ensemble detto gamelan. A Giava Godovskij non compose nemmeno una nota, ma il ritmo del gamelan, racconta Brokken, gli rimase nelle orecchie per anni e alla fine prese forma nella sua opera più bella, la «Suite di Giava», cinquanta minuti di musica che si fa ascoltare come un racconto di viaggio, «un pezzo di una bellezza eccezionale che io associo immediatamente al fruscio delle palme», un suono particolare che - scrive la madre in una lettera - ricorda il rumore di un rastrello che raccoglie con pazienza le foglie.

Con le lettere che Olga inviava alla sorella a fargli da guida, Brokken va a cercare i luoghi dove la madre ha vissuto per quattordici anni, insieme al marito e ai due figli maggiori, venuti alla luce in Indonesia. Nato dopo il ritorno della famiglia in Olanda, nel 1949, lo scrittore non sa molto di quella vita ai tropici. In famiglia non se ne parla mai, anche perché al primo periodo entusiasmante di scoperta del luogo in una comunione perfetta tra marito e moglie, seguono i quasi quattro terribili anni dell'internamento in un campo di prigionia giapponese, il padre da una parte, la madre dall'altra assieme ai due figli di sei e quattro anni. Lui viene torturato; lei, messa ai lavori forzati a coltivare riso e verdure per gli internati, arriva a pesare 49 chili e contrae una malattia cardiaca che, anni dopo, sarà la causa della morte.

«Sono uscito dal mio tempo per entrare nel suo, e mi sono chiesto se sia davvero possibile ritrovarsi non soltanto in un'altra persona, ma anche in un'altra epoca» scrive Brokken. Chiuso il libro si può dire che la missione sia pienamente riuscita: come l'autore, il lettore si trova in un'altra epoca, catapultato nel crocevia di culture e religioni dell'arcipelago asiatico, nei panni di una ragazza di 23 anni che, pur non avendo studiato, impara le lingue e i dialetti del luogo, prima e meglio del marito, per entrare in contatto diretto con la popolazione, soprattutto le donne a cui insegna a usare la macchina per cucire. Le lettere, a volte lunghe anche una dozzina di pagine, sono dettagliate e aperte e rivelano il profilo di una donna completamente diversa dalla madre che lo scrittore ha conosciuto, «curiosa al limite dell'indiscrezione», con un'indomabile voglia di vivere, più appassionata, più buffa, più maliziosa. «Allo stesso tempo mi è molto più vicina» scrive Brokken osservando il percorso di Olga che prima della guerra si rappresenta principalmente come «moglie di...», totalmente affidata alle convinzioni del marito a cui competono anche tutti gli aspetti politici della missione, mentre, dopo l'internamento è lei a stabilire, con molta più forza di prima, in cosa credere e cosa pensare.

I primi anni sono un susseguirsi di momenti di gioia («ogni tanto si dava un pizzicotto per chiedersi se si trovasse davvero lì, sotto i tamarindi, o in una specie di paradiso terrestre»), poi arriva il primo grande dolore: la perdita della primogenita, morta durante il parto, evento di cui non parlerà mai, né nelle lettere, né dopo, una volta tornata in Olanda. «Sembrava che ai tropici tutto accadesse più in fretta, che gli estremi fossero infinitamente più distanti. La tristezza era il dolore più profondo o la paura peggiore, la paura di morire; la gioia era un'euforia di profumi e colori e nuove impressioni, una più straordinaria dell'altra; la gioia era quasi subito amore» spiega Brokken.

Intorno alla figura della madre si tesse un ordito di personaggi ed eventi che mettono insieme cultura, storia, religione. L'autore passa attraverso le parole di scrittrici come Hella Haasse, olandese nata in Indonesia, autrice di romanzi storici; la musica del compositore tedesco Paul J. Seelig, vissuto per gran parte della vita a Giava, che combinava motivi orientali con il linguaggio romantico occidentale; le lezioni del professor Cense, insegnante di makassar e buginese, lingue parlate nell'arcipelago; il guru islamico La Galiti, convertito al cristianesimo dopo un disastroso viaggio alla Mecca «su una bagnarola fatiscente» con un gruppo di pellegrini decimati dalla dissenteria all'andata e dalla tempesta al ritorno, derubati di tutto nella città sacra.

Olga vibra nelle pagine più belle del libro che si legge come un romanzo di avventura dove lei emerge impavida e sicura, come una Karen Blixen delle Indie. «Da nessun'altra parte ho sofferto tanto, da nessuna parte ho vissuto così intensamente» è la frase che la madre ripeteva spesso al figlio. Per capire davvero che cosa intendesse, Brokken ha dovuto aspettare anni, il tempo necessario perché quella cassaforte con trentanove lettere e tre album di fotografie, si aprisse, rivelando il mistero di una vita così lontana, così vicina.
Jan
Brokken

Scrittore e viaggiatore olandese, noto per la capacità di raccontare le vite di personaggi fuori dall’ordinario e i grandi protagonisti del mondo letterario e musicale, ha pubblicato numerosi libri che la stampa ha avvicinato a Graham Greene e Bruce Chatwin, come Jungle Rudy, il suo primo successo internazionale. Iperborea …

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