Intervista
Il mestiere di tradurre. Intervista a Laura Cangemi
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Il mestiere di tradurre. Intervista a Laura Cangemi
Rinomata traduttrice ed esperta di letteratura svedese, Laura Cangemi ha all’attivo oltre duecento titoli tradotti e alcuni degli autori più rappresentativi della narrativa scandinava tra cui Ulf Stark, Henning Mankell, Per Olov Enquist, Mikael Niemi, Peter Englund, Ingmar Bergman, Klas Östergren. Nel 2020 ha tradotto «La sciagura di chiamarsi Skrake» di Kjell Westö, una saga famigliare che racconta l’eccentrica e sventurata vita degli Skrake attraverso personaggi indimenticabili e una sequela di storie tragicomiche che ripercorrono gli eventi del Novecento. Le abbiamo fatto qualche domanda su questo romanzo e sull’autore.
Come collocheresti Kjell Westö nel panorama della narrativa scandinava contemporanea?
Kjell Westö va innanzitutto inquadrato come autore finlandese di lingua svedese: un punto di partenza non facile, per uno scrittore di livello internazionale, già a partire dal fatto che, tra i lettori europei, ben pochi sanno che in Finlandia esiste una minoranza di lingua svedese. Se all’apparenza è un vantaggio, per un finlandese, scrivere in una lingua che può essere letta anche nel paese confinante, raggiungendo quindi un pubblico più ampio, la realtà dei fatti è che gli autori finnosvedesi raramente raggiungono il successo in Svezia. Tra questi è sicuramente da annoverare, insieme a Monika Fagerholm, proprio Kjell Westö, le cui opere non hanno solo varcato i confini nazionali ma sono anche state insignite di premi importanti, come quello del Consiglio nordico attribuito nel 2014 a «Miraggio 1938».
Come Tove Jansson, Kjell Westö, quindi, fa parte della minoranza finlandese di lingua svedese: cosa c’è di finlandese nella svedesità di Westö?
Non credo si possa veramente parlare di «svedesità» perché, pur avendo vissuto diversi anni a Stoccolma, Kjell Westö è e rimane un finnosvedese, e come tale non può prescindere dalla «finlandesità», se così vogliamo chiamarla. La risposta a questa domanda potrebbe quindi essere, semplicemente: «tutto». Nei suoi libri la storia finlandese, anche recente, gioca un ruolo fondamentale, e quasi sempre Helsinki è al centro delle vicende. Leggendo le sue opere si può imparare molto su come sono cambiati nel tempo la posizione e il ruolo della minoranza di lingua svedese, soprattutto a partire dall’indipendenza del paese, conseguita nel 1917. Tra gli intellettuali finnosvedesi credo che Westö sia uno dei più aperti nei confronti del finlandese (che parla e scrive perfettamente, cosa assolutamente non scontata), tanto che nella sua attività giornalistica usa quasi indifferentemente le due lingue.
La tragicomica parabola della famiglia Skrake attraversa un secolo di storia del Nord, ma è soprattutto in «Miraggio 1938» che Westö si dedica in maniera dettagliata alla ricerca storica rievocando con minuzia di dettagli un anno cruciale del secolo breve, il 1938. Come ti sei confrontata con questa materia?
Sicuramente ho dovuto studiare e approfondire un periodo storico che conoscevo poco, ma in questo sono stata accompagnata dalla narrazione stessa, che alterna le parti ambientate nel 1938 a quelle che si svolgono durante la sanguinosa guerra civile di vent’anni prima, una delle ferite più profonde della storia finlandese. Kjell Westö riesce a dare un quadro estremamente tangibile delle epoche in cui ambienta i suoi romanzi, e non lo fa solo grazie ai riferimenti canonici: la sua grande abilità sta nel rendere credibile l’atmosfera con richiami alla musica, al cinema, alla politica del periodo in cui si muovono i suoi personaggi, senza artificiosità. Mi ha anche aiutato molto, durante i miei soggiorni a Helsinki, essere accompagnata dall’autore stesso nei luoghi in cui svolgevano le vicende narrate nei suoi romanzi. Per me, che conosco molto meno la vita e la cultura finlandese rispetto a quella svedese, è stato davvero prezioso discutere con lui di tanti aspetti importanti per capire quello che c’era dietro il testo che stavo traducendo, non solo dal punto di vista linguistico. Un’esperienza che spero di ripetere presto.
Come collocheresti Kjell Westö nel panorama della narrativa scandinava contemporanea?
Kjell Westö va innanzitutto inquadrato come autore finlandese di lingua svedese: un punto di partenza non facile, per uno scrittore di livello internazionale, già a partire dal fatto che, tra i lettori europei, ben pochi sanno che in Finlandia esiste una minoranza di lingua svedese. Se all’apparenza è un vantaggio, per un finlandese, scrivere in una lingua che può essere letta anche nel paese confinante, raggiungendo quindi un pubblico più ampio, la realtà dei fatti è che gli autori finnosvedesi raramente raggiungono il successo in Svezia. Tra questi è sicuramente da annoverare, insieme a Monika Fagerholm, proprio Kjell Westö, le cui opere non hanno solo varcato i confini nazionali ma sono anche state insignite di premi importanti, come quello del Consiglio nordico attribuito nel 2014 a «Miraggio 1938».
Come Tove Jansson, Kjell Westö, quindi, fa parte della minoranza finlandese di lingua svedese: cosa c’è di finlandese nella svedesità di Westö?
Non credo si possa veramente parlare di «svedesità» perché, pur avendo vissuto diversi anni a Stoccolma, Kjell Westö è e rimane un finnosvedese, e come tale non può prescindere dalla «finlandesità», se così vogliamo chiamarla. La risposta a questa domanda potrebbe quindi essere, semplicemente: «tutto». Nei suoi libri la storia finlandese, anche recente, gioca un ruolo fondamentale, e quasi sempre Helsinki è al centro delle vicende. Leggendo le sue opere si può imparare molto su come sono cambiati nel tempo la posizione e il ruolo della minoranza di lingua svedese, soprattutto a partire dall’indipendenza del paese, conseguita nel 1917. Tra gli intellettuali finnosvedesi credo che Westö sia uno dei più aperti nei confronti del finlandese (che parla e scrive perfettamente, cosa assolutamente non scontata), tanto che nella sua attività giornalistica usa quasi indifferentemente le due lingue.
La tragicomica parabola della famiglia Skrake attraversa un secolo di storia del Nord, ma è soprattutto in «Miraggio 1938» che Westö si dedica in maniera dettagliata alla ricerca storica rievocando con minuzia di dettagli un anno cruciale del secolo breve, il 1938. Come ti sei confrontata con questa materia?
Sicuramente ho dovuto studiare e approfondire un periodo storico che conoscevo poco, ma in questo sono stata accompagnata dalla narrazione stessa, che alterna le parti ambientate nel 1938 a quelle che si svolgono durante la sanguinosa guerra civile di vent’anni prima, una delle ferite più profonde della storia finlandese. Kjell Westö riesce a dare un quadro estremamente tangibile delle epoche in cui ambienta i suoi romanzi, e non lo fa solo grazie ai riferimenti canonici: la sua grande abilità sta nel rendere credibile l’atmosfera con richiami alla musica, al cinema, alla politica del periodo in cui si muovono i suoi personaggi, senza artificiosità. Mi ha anche aiutato molto, durante i miei soggiorni a Helsinki, essere accompagnata dall’autore stesso nei luoghi in cui svolgevano le vicende narrate nei suoi romanzi. Per me, che conosco molto meno la vita e la cultura finlandese rispetto a quella svedese, è stato davvero prezioso discutere con lui di tanti aspetti importanti per capire quello che c’era dietro il testo che stavo traducendo, non solo dal punto di vista linguistico. Un’esperienza che spero di ripetere presto.