Approfondimento
PICCOLI PASSI DI GIOIA QUIETA

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PICCOLI PASSI DI GIOIA QUIETA
Angelo Ferracuti recensisce «La mia vita come la vostra» di Jan Grue su laLettura il 16/03/2025.
Jan Grue, norvegese, professore, marito e padre, racconta e sfida la propria fragilità.Sono brevi frammenti narrativi quelli che compongono «La mia vita come la vostra» (Iperborea) di Jan Grue, un memoriale eccentricamente ibrido, vitale come le storie raccontate ad alta voce quando i ricordi inventano dal vero pezzi della nostra vita. È un andirivieni di passato e presente, improvvisi flashback, citazioni. In questo diario intimo, «una correzione alla verità del momento», riaffiorano nel farsi della scrittura pezzi di vita che riverberano con libri letti, versi di poeti, certi film, quando l'autore descrive un sé stesso «che non esiste più», un bambino al quale a tre anni è stata diagnosticata una patologia neuromuscolare, che nell'immaginazione degli altri era un corpo difettoso destinato a non vivere a lungo.
Lo stesso autore, professore di Sociologia e Geografia umana all'università di Oslo, chiarisce questo procedimento di scrittura: «La memoria è qualcosa che si svolge in noi e vive in noi», dice. «Ogni volta che rivivo un ricordo, lo modifico un po', perché ogni volta che lo ripercorro aggiungo una pennellata». Oggi, mentre scrive, Jan Grue vive con l'amata moglie Ida e il figlio di un anno Alexander, viaggia e ha viaggiato, ha studiato ad Amsterdam e San Pietroburgo, è un accademico che si è specializzato a Berkeley, ha ballato al proprio matrimonio. La percezione di sé è molto diversa da quella degli altri, malgrado debba spostarsi con i tempi di una «ingombrante carrozzina elettrica» che comunque gli concede una certa libertà di movimento.
La sua vita è diventata altra rispetto a quella che avrebbe dovuto essere. Ne viene a conoscenza dalle carte ereditate dai genitori: le note cliniche parlano di un bambino dall'equilibrio instabile che «continua a cadere», un bambino che è diventato ormai un ricordo e un racconto con i quali fare i conti.
Tra memoria intima narrativa, saggio e reportage, servendosi di tutta la storia clinica che copre l'arco temporale dell'adolescenza, l'autore norvegese scrive un libro civile dalla parte di chi vive nel corpo quello che il sociologo Erving Goffman definisce «segno visibile screditante», lo stigma che il filosofo Giorgio Agamben chiama «vita nuda». Cita più volte Mark O'Brien, il poeta americano ammalato di poliomielite, costretto a vivere in un polmone d'acciaio: «Abbiamo in comune la fragilità. Essere fragile vuol dire essere soggetto al volere altrui (...) ma anche visibile agli altri, essere per così dire oggetto dello sguardo altrui», dice ancora della sua condizione. «Non posso uscire da me stesso, non posso diventare il normale che fissa il diverso».
Si trova quindi nell'incrocio di due sguardi, «quello controllante dell'istituzione e quello penetrante della clinica». Quando arrivano i tempi della scuola la certificazione medica non lascia dubbi: «Jan Grue è affetto da una grave disabilità fisica che rende necessario un assistente di sostegno dall'inizio dell'anno scolastico. Non potendo prevedere alcun miglioramento della sua miopatia, occorrerà prendere le dovute misure nel corso della giornata scolastica».
Leggendo questo libro, l'altro che racconta è più vicino, partecipiamo alle sue passioni, alla sua rabbia, all'amore per i supereroi, adesso conosciamo le sue paure, sappiamo cosa pensa mentre sta prendendo le misure per entrare con la carrozzina nell'ascensore, sappiamo che è stato anche un privilegiato: grazie al Paese dove è nato e ai genitori che ha avuto la genetica per lui non è diventata un destino. L'autore incrocia le riflessioni di Michel Foucault, visita i luoghi dove ha soggiornato la grande scrittrice Joan Didion, quella che ha scritto: «Il dolore risulta essere un posto che nessuno conosce finché non ci arriva», ripercorre i passaggi cruciali della sua esistenza, gli anni universitari della formazione e la lotta per «avere quello che hanno tutti gli altri, evitare quella vita che è un surrogato, un succedaneo», far sì, come accade nel più volte citato Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, che l'angelo, interpretato da uno strepitoso Bruno Ganz, «prega ed è esaudito. Diventa umano», o meglio: «Esce dall'eternità per entrare nell'attimo». Come nel racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano di Jorge Luis Borges, si possono originare futuri e passati diversi. Conclude Grue: « Le cose sarebbero potute andare diversamente . Avrei potuto vivere un'altra vita. Però cammino. E ogni passo mi dà una gioia quieta. I plantari sono morbidi e mi sostengono. Ci galleggio sopra, in giro per il mondo».