Approfondimento
DIPO FALOYIN SFATA GLI STEREOTIPI OCCIDENTALI
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DIPO FALOYIN SFATA GLI STEREOTIPI OCCIDENTALI
Sul T, Carlo Martinelli recensisce «L'Africa non è un paese» di Dipo Faloyin (trad. Tommaso Bernardi), 31 luglio 2024.
Il giornalista britannico di origini nigeriane ha scritto un libro volto a superare i luoghi comuni e l'ignoranza che aleggiano sul continente africano.Due note dell 'autore, Dipo Faloyin, aprono «L' Africa non è un paese», freschissimo di stampa grazie ad «Altrecose», il marchio editoriale che unisce «Il Post» ed «Iperborea»: 472 pagine, 22 euro, prefazione di Eugenio Cau, traduzione dall'inglese di Tommaso Bernardi. Dipo Faloyin è un giornalista britannico di origine nigeriana, nato a Chicago ma cresciuto a Lagos, ora vive a Londra. Scrive per «Vice» dove si occupa di identità e questione razziale, e suoi pezzi sono apparsi anche su the Guardian, Esquire, Newsweek. Sarà a Mantova per il Festivaletteraura l '8 settembre.
Le sue due note? Eccole. «1. Tenete presente che qualsiasi riferimento alle azioni di un gruppo etnico si riferisce alla leadership di quel gruppo in quel momento e non riflette le principali convinzioni dell 'i n te ra comunità. 2. Io non sono genericamente africano. Sono nigeriano. E questo libro esprime il mio punto di vista di nigeriano». Già. Il suo malloppo, che si legge con vorace curiosità, ad una cosa punta, soprattutto, ed è talmente importante che sta in copertina, a caratteri ben visibili oltre che colorati: le sue sono istruzioni (mai saccenti) per superare luoghi comuni e ignoranza sul continente più vicino. Dunque un libro che racconta, descrive, spiega, distingue e smonta le tantissime superficiali e sbrigative semplificazioni con cui viene raccontata e conosciuta l 'Africa in Europa.
Perché l 'Africa è una realtà complessa e Faloyin avverte che applicando un trattamento riduttivo a una comunità, a un paese, a una razza intera non si farà che creare una narrazione falsa, tossica, poi tramandata di generazione in generazione finché la finzione diventa un fatto, che a sua volta diventa conoscenza condivisa e contagiosa, che passa di continuo nelle scuole, ai pranzi di famiglia, nei libri e nelle immagini della cultura popolare. Ebbene, ammonisce - anzi, grida con la forza di una scrittura che miscela saggio, memoir, racconto - poche realtà sono state sottoposte a una simile distorsione più dell'Africa. Che è un continente di cinquantaquattro paesi, dove si parlano più di duemila lingue e dove vivono quasi un miliardo e mezzo di persone.
Eppure l'Africa è una regione del mondo che viene trattata e descritta come se fosse un unico paese, privo di sfumature e condannato per sempre alle privazioni. A volte capita di sentir dire: «È scoppiata una guerra in Africa», oppure: «Mi piace la cucina africana», come potremmo dire che c ' è stato un nubifragio in Germania o che siamo appassionati di cibo indonesiano. «Per troppo tempo - scrive Dipo Faloyin - l'Africa è stata trattata come un sinonimo di povertà, fame, corruzione, guerre civili ed estese regioni di terra rossa e arida dove non cresce altro che sofferenza. Oppure è stata presentata come un grande parco safari dove leoni e tigri si aggirano liberamente intorno alle nostre case e gli africani passano le giornate raggruppati in tribù di guerrieri, seminudi, armati di lance a caccia di animali, o che saltano su e giù in riti ritmati mentre aspettano che sia consegnato il prossimo pacco di aiuti. Povertà o safari, e niente in mezzo». Conosciamo tutti questi stereotipi. Ma l'Africa è molto altro, non è una cosa sola, e non è un paese, appunto.
In pagine ricche di informazioni, con passaggi ora divertenti ora feroci, al lettore viene offerta la possibilità di attingere a strumenti per conoscere meglio la realtà. Si spazia dall ' eredità coloniale delle tante nazioni che compongono il continente africano alla vita urbana di Lagos («un numero di abitanti pari a quelli sommati delle città di Londra e New York e dell ' Uruguay», sottolinea Faloyin riguardo alla «sua» città) per approdare ai migliori cuochi di riso jollof e alle serie tv più viste in Nigeria. Con una buona dose di sarcasmo attacca la facilità con cui il mondo occidentale da secoli tratta l'Africa in maniera diversa da ogni altro continente, senza tenere conto delle differenze - culturali, sociali, economiche - che ne sono la maggiore ricchezza. Un racconto personale ma anche politico.
Gli otto capitoli del libro (e quaranta pagine di note) portano in primo piano il contesto che spesso manca nelle discussioni sull'Africa. Per scoprire come ogni paese sia stato formato da persone con mappe inadeguate e una morale ancora più inadeguata. Faloyin analizza i danni che provocano gli stereotipi banalizzanti attraverso cui viene rappresentata l'Africa nella cultura popolare e nelle immagini utilizzate dalle campagne di beneficenza per ottenere soluzioni rapide che, spesso, fanno più male che bene favorendo un'omologazione negativa. Narra la storia della democrazia nel continente attraverso... sette dittature; la battaglia per la restituzione dei manufatti e dei tesori rubati durante il periodo coloniale; l'impatto che la cultura del cibo di tutto il continente ha avuto sui costumi di tutto il mondo, persino la bellezza della Coppa calcistica delle nazioni africane.
Infine la sua esplorazione tocca il presente e il modo in cui gli attivisti locali, i movimenti e le emergenti imprese creative stanno definendo il futuro del continente, con un linguaggio che è quello che costruisce davvero le comunità: un impegno assai più rappresentativo delle savane polverose, delle guerre civili e di un popolo senza voce in attesa che «qualcuno parli per noi, che altri vengano a salvarci». Da uomo di grande fede qual è, Dipo Faloyin chiude ringraziando Dio. Noi, più modestamente, ringraziamo Dipo Faloyin. Questo libro è bussola preziosa.