Approfondimento
I NOSTRI INCUBI A VOLTE RITORNANO
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I NOSTRI INCUBI A VOLTE RITORNANO
Giancarlo De Cataldo recensisce «Il buio scese sull'acqua» di Kerstin Ekman (trad. Carmen Giorgetti Cima), Robinson - 28 luglio 2024.
Una donna, un delitto, i segreti e le bugie di una comune anni Settanta: il thriller della veterana svedese Kerstin Ekman.Svezia del Nord, anni Novanta. Annie sorprende sua figlia Mia mentre si bacia con Johan. Mia non è certo un'adolescente, è padrona della sua vita, e nessuno meglio della coraggiosa Annie comprende i valori della libertà e dell'autodeterminazione. Dopo tutto, proprio in nome di quei valori Annie ha scelto di abbandonare la città per stabilirsi in quel lembo selvaggio dominato da una natura ardua. Il problema è un altro. Vent'anni prima, Annie e Johan si erano già incontrati. O, meglio, lei è sicura di averlo intravisto, il volto di Johan, quella notte di tanti anni prima.
La notte in cui un misterioso assassino aveva accoltellato a morte due turisti che si erano accampati nei meravigliosi boschi di Svartvattner. Un luogo incantato dell'estremo settentrione dove le volpi fanno la tana, mamma alce conosce posti sicuri per far riposare i cuccioli, i lamponi selvatici maturano in riva al torrente, la vita sembra scorrere nel solco del pacifico, eterno rinnovarsi di cicli che rispondono alla legge universale della natura e se ne infischiano delle miserie umane. Ma è poi davvero questa, la realtà delle cose? L'incontro con Johan ridesta in Annie le memorie del passato. E noi le seguiamo per lunghe pagine in cui poesia, mistero, invettiva e politica si mescolano in un cocktail di grande originalità: non a caso questo romanzo fu proclamato, nel 1993, il miglior giallo scandinavo.
"Giallo" è peraltro un termine che rischia di risultare riduttivo: non solo per «Il buio scese sull'acqua», ma un po' per l'intera produzione della novantenne Kerstin Ekman: tanto per dire, un'accademica di Svezia, cioè una di quelle persone che designano il premio Nobel, capace di dimettersi all'indomani della fatwa khomeinista contro Salman Rushdie, denunciando la reazione fiacca e codarda dei suoi colleghi. E questo romanzo così denso di spunti, svolte, approfondimenti, ironia e lampi poetici, è, ancora una volta, la dimostrazione di quanta ricchezza creativa ci sia ancora da scoprire (o riscoprire) nelle letterature del grande Nord.
Ma torniamo alla vicenda. Se l'innesco è l'incontro fra Annie e Johan, il corpo centrale è la ricostruzione del fattaccio di vent'anni prima così come percepito dagli stessi Annie e Johan e dal medico Birger. Annie è una maestra progressista che lascia la scuola e si trasferisce in una classica comune anni Settanta, dove tutti sono genitori e fratelli di tutti, si allevano capre e si pratica uno stile di vita che definire spartano è un eufemismo. Ad attirare lei, che è una testa lucida, forte e sarcastica, in quel covo di sgarrupati millenaristi, è stata la passione per Dan: suo studente, prima, e poi intellettuale sedicente alternativo. Merce abbondante, in quegli anni. Sta di fatto che Dan si rivelerà presto un furbacchione tutt'altro che proteso a cambiare il mondo: semmai, a ricavare per sé un posticino con qualche privilegio. Del resto, l'ambiente nel quale è capitata non è il paradiso sognato. La comunità è divisa fra chi vorrebbe difendere il bosco a oltranza e chi non vede l'ora che il disboscamento porti un po' di ricchezza.
I Sami sono discriminati, vittime di un razzismo che li equipara a selvaggi senza Dio. Fra i peggiori, il padre e i fratellastri di Johann: rozzi, arroganti terricoli che sembrano usciti da Un tranquillo weekend di paura di John Boorman, e la cui violenza contro il mite Johan darà il via alla catena di eventi destinata a concludersi vent'anni dopo. E infine Birger. Medico, lucido, tanto generoso quanto dissoluto. Uno che cura gratis e si ammazza di lavoro, ma sa che non sarà mai considerato "uno di loro": perché ha studiato, perché l'invidia populista si annida dietro i sorrisi di circostanza, perché se ci siamo mai illusi che la Scandinavia sia esente da quei fenomeni che tendiamo a considerare tipici dei popoli latini - corruzione, familismo, improvvisazione, disordine - è bene tornare coi piedi per terra. Alla fine, l'intricata vicenda trova la sua spiegazione. Ma conta davvero? Attraverso la meticolosa penetrazione nella psicologia dei protagonisti e l'accumulo di piccoli dettagli che solo letti tutti insieme consentono di ricostruire il "come è andata", emerge ciò che sta a cuore a Ekman: una profonda riflessione sulle relazioni fra esseri umani e fra uomo e natura in un contesto sartriano in cui l'inferno sono gli altri e siamo noi. Con i nostri lunghi silenzi, le reticenze, i desideri repressi, la crudeltà dell'ignoranza. Il nostro odio distruttivo. Per fortuna, con una piccola luce: «Chi odia può essere liberato, in questa esistenza incredibilmente confusa e in tutte le pazzie in cui si può essere coinvolti. Per qualcuno la liberazione arriva come una risata. Be', santo cielo, bisogna pur tirare avanti in qualche modo».