Approfondimento

E C'È CHI NON CREDE ALL' ETÀ DEL FUOCO

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E C'È CHI NON CREDE ALL' ETÀ DEL FUOCO

Data: 17 Luglio 2024

«L'età del fuoco» di John Vaillant (trad. Luca Fusari) recensito da Telmo Pievani su La Lettura - 30 giugno 2024.

Quell'anno, nel sito petrolifero di Fort McMurray in Alberta - il «Texas del nord» - la primavera arrivò in anticipo. Aveva nevicato meno del solito, il sottobosco era già secco, la temperatura 10 gradi sopra la media e soffiava il vento asciutto dell'Artico. Il primo maggio 2016, dalla foresta boreale uscì un mostro di fuoco. Un'energia devastante bussò alle porte della città. I metalli si sciolsero, i cementi si sfaldarono. L'incendio 009 accelerò rapidamente, scavalcò le barriere tagliafuoco, le autostrade, persino il fiume Athabasca, largo 500 metri, un tempo spina dorsale del commercio di pellicce di castoro. Un fungo pauroso di fumo nero, fulmini e folate fortissime si alzò su Fort McMurray, anticipato da braci volanti. Tale era il calore che alberi e case non avvampavano: esplodevano direttamente. Dopo soli due giorni la tempesta di fuoco era fuori controllo.

Spinte più dal passaparola che dai dispacci delle autorità (che due ore prima ancora minimizzavano), 88 mila persone intasarono l'unica autostrada d'uscita, mentre le fiamme lambivano le corsie d'emergenza, e furono evacuate mentre alle loro spalle il pennacchio di fumo raggiungeva la stratosfera. Scappando da quel santuario del petrolio, molti veicoli rimasero a secco. Il Bestione - così fu battezzato - imperversò sulla città per settimane. I vigili del fuoco combatterono strada per strada. Gli impianti di estrazione si fermarono. Le case rimaste furono invase da topi e mosche. Si dovettero demolire centinaia di edifici, per togliergli forza. Più di 2.500 case furono distrutte, insieme a 6 mila chilometri quadrati di foresta boreale. Era una bomba di carbonio pronta a esplodere, e infatti esplose, rilasciando 100 milioni di tonnellate di CO 2.

Gli sfollati rientrarono dopo un mese ma in 20 mila decisero di non tornare. Il giornalista canadese John Vaillant ha ricostruito come in un thriller quel disastro, abbattutosi sull'epicentro della multimiliardaria industria petrolifera del Canada, che spreme le sabbie bituminose a forza di fratturazioni idrauliche, drenaggi tramite vapore e sbancamenti, per estrarne catrame, asfalti, gasolio, cherosene, nafta. Macchine grandi come palazzi spianano la foresta, estraggono enormi massi, li triturano, buttano gli scarti in bacini artificiali le cui acque contaminate percolano nel suolo. Dai satelliti, questa Mordor sembra una cicatrice sulla faccia della Terra.

Vaillant tratteggia la storia e la vita di Fort McMurray, che non è un paese per vecchi: il lavoro massacrante degli stagionali, gli stipendi d'oro, l'alienazione, l'abuso di alcol e droghe, la solidarietà fra chi si sente su una frontiera. Descrive l'incredulità degli abitanti dinanzi a quell'evento inusitato, metafora di ciò che sta accadendo a tutti noi di fronte alla crisi climatica: ci manca l'immaginazione, non ci vogliamo credere, finché non è il momento di mettere le prime cose che capitano nel baule e partire.

Uno che continua a non volerci credere è l'opinionista danese Bjørn Lomborg, che boccerebbe il libro di Vaillant in quanto catastrofista. Nel suo nuovo libro, l'«ambientalista scettico» insiste nella sua tattica: polemizzare solo contro le posizioni più allarmiste di attivisti e scienziati. In sintesi: gli ecologisti e i massmedia fanno proposte irrealistiche; la situazione non è così drammatica, anzi viviamo nel momento migliore della storia umana; i costi del riscaldamento climatico sono sovrastimati; ci sono sfide più urgenti da affrontare. E invece la gente sarebbe in preda al terrore per la crisi climatica (dalle ultime elezioni europee, non si direbbe). Insomma: scetticismo tanto, ambientalismo poco.

Lomborg sostiene che le politiche climatiche danneggeranno i poveri, limitando il loro accesso all'energia a basso costo dei combustibili fossili, anche se a onor del vero la rivista «Nature Climate Change» ha da poco calcolato che il 10% dei Paesi più ricchi pagheranno solo il 3% dei costi del riscaldamento climatico. Se non facciamo qualcosa, i meno abbienti pagheranno tutto il resto. Dunque, quali soluzioni per Lomborg? Mettere una piccola tassa sul carbonio, fare innovazione, cambiare le colture e per il resto lasciare correre da solo il libero mercato, che si autoregolerà e lascerà in pace il nostro stile di vita. Anche l'autore però ha dei dubbi e prefigura un «piano di riserva» a base di geoingegneria: se le cose si metteranno male, bombarderemo il cielo con l'anidride solforosa.

I pompieri di Fort McMurray non sarebbero d'accordo. Hanno dichiarato spento il Bestione nell'agosto 2017, dopo 15 mesi: la calamità più costosa nella storia del Canada. Dicono che era un tipo di incendio mai visto prima. Nell'Antropocene il fuoco si sta evolvendo perché, scrive Vaillant, «in tutta la storia del genere umano non c'è mai stato un momento migliore per essere un incendio». Quando il suo libro uscì in Nordamerica, nel giugno 2023, un fumo giallastro proveniente da incendi boschivi canadesi soffocò per giorni gli Stati Uniti orientali.

Intanto, l'industria del bitume resiste soltanto grazie ai sussidi: Fort McMurray ne ha risucchiati finora per 300 miliardi di dollari. Investitori e assicurazioni lo stanno capendo. I rendimenti sono in balia delle oscillazioni dei prezzi: si ricava un barile di bitume ogni due tonnellate di sabbia, consumando molta acqua, solventi chimici e gas naturale. Il mercato non ha memoria, come gli incendi. Le pellicce di castoro divennero più rare e costose, e il loro traffico tramontò. L'olio di balena ebbe la stessa sorte: finirono i capodogli.