Approfondimento

LA MADRE CHE NESSUNO PIANSE

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LA MADRE CHE NESSUNO PIANSE

Data: 10 Giugno 2024

La recensione de «Il mio sottomarino giallo» di Jón Kalman Stefánsson, pubblicata su Il Sole 24 ore, Elisabetta Rasy, il 26 maggio 2024.

A pagina 272 del libro lo scrittore dà un avvertimento essenziale al lettore: «Il tempo si è fermato in questo parco pubblico, ma non la narrazione, che procede scorrevole e ininterrotta. Non rispetta alcuna legge, se non la propria. Continua ad andare avanti, o meglio, indietro...». Ma a quel punto ogni per quanto distratto lettore che si è avventurato nel nuovo romanzo, una sorta di fiabesco memoir, di Jon Kalman Stefánsson lo ha già capito: non c'è legge se non quella scelta da chi racconta, e il tempo non solo va avanti e indietro, ma torna insistentemente in certi luoghi e momenti per trarne sempre nuovo materiale, così come mutevoli, contraddittori sono i toni che si alternano nel racconto.

È tutto un po' strampalato, tenero, buffo e tragico in questo «Il mio sottomarino giallo», che fin dal titolo convoca accanto all'autore che si racconta - avendo cura di divagare proprio in senso letterale, di andare cioè dalla strada dritta alle infinite vie secondarie e vicoli della vita - anche le celebri silhouette dei Beatles, uno in particolare: un Paul McCartney ormai ottantenne, che si sta riposando appoggiato a un albero in un parco londinese. Stefánsson è una delle stelle più luminose - ciò che scrive fa proprio pensare a una intensa luce nel buio - della letteratura del grande Nord europeo, spesso se ne parla come di un possibile Nobel. Ha una di quelle storie personali che fanno gola ai biografi: nato a Reykjavik nel 1963, segnato nell'infanzia dalla morte precoce della madre, studi variamente interrotti, operaio adolescente in una delle tante fabbriche islandesi dove si dissala e si prosciuga il pescato, infine studi ripresi per dedicarsi - dopo una parentesi da bibliotecario- anima e corpo prima alla poesia poi alla narrativa. Anima e corpo che in questo caso non è il solito modo di dire ma la coppia che domina, in acrobatici arabeschi, tutta la narrativa di Stefánsson, specie nella trilogia che gli ha dato una indiscussa fama internazionale: Paradiso e inferno , La tristezza degli angeli e Il cuore dell'uomo , viaggio iniziatico dal buio alla luce della salvezza interiore, soprattutto della salvezza attraverso le parole e l'immaginazione.

Nel nuovo libro l'immaginazione si mette appunto in moto nel parco londinese in una giornata del 2022 dove McCartney un po' si riposa, un po' parla al telefono con l'amico John Lennon resuscitato per l'occasione, e intanto lì accanto il cinquantanovenne Jón Kalman lo contempla e insieme si sposta nel tempo. Ma lo scrittore e la figura dei celebri Four non sono i personaggi principali, né la scena del parco è la più importante, perché arriva immediatamente in tutto quel verde una vecchia Trabant, sgangherata autovettura della Germania orientale, dove si svolge la vera scena fondativa della storia che Stefánsson racconta: un bambino di sette anni siede accanto al padre che guida concentrato sulla strada e pronuncia poche, rauche parole: «Mi sa che tua madre è morta», e poco dopo: «Sì, è un fatto, ho proprio paura che sia un dato di fatto». Tanto basta perché tra il bambino di allora - cioè lo scrittore di oggi - e i dati di fatto la guerra sia dichiarata.

Ecco dunque che compare il celebre sottomarino giallo dei Beatles non solo come l'abitacolo accogliente in cui rifugiarsi per difendersi dalla crudeltà della realtà, ma anche il veicolo perfetto per l'impresa che il bambino di allora metamorfosato ma non troppo nell'adulto di oggi vuole intraprendere: «trovare la chiave che apre la porta tra la vita e la morte». A questo punto la scena si dilata fino a millenni remoti anni in cui compare come guida Gilgamesh, l'eroe del poema epico babilonese che penetra nelle tenebre dell'aldilà dopo aver perso l'amico Enkidu, ed ecco come un nemico personale, anzi un amico personale del padre, il Dio dell'Antico Testamento, crudele tiranno che maltratta un mite e sperduto Gesù, e poi una angelica coppia di vecchi vicini di casa, una matrigna scorbutica ma non cattiva, un compagno soccorrevole che compare un attimo poi si dissolve, e tanti cantanti e tanti poeti che confortano lungo la strada tra i vivi e i morti e sembrano essere gli unici a non perdersi nel viaggio.

E naturalmente la madre perduta, musa ispiratrice delle peregrinazioni del figlio nel labirinto della memoria: poiché nessuno aveva pianto la sua morte ora la storia che racconta il figlio è inondata di lacrime, come leggiamo in quella essenziale pagina 272 in cui, dopo due terzi di libro, si svelano i giochi: nel parco londinese al posto della Trabant ora compare un vecchio arnese dell'industria automobilistica sovietica, una Moskvic, alla cui guida spericolata c'è addirittura Putin che tenta di investire il vecchio ragazzo dei Beatles. E lì qualcosa dentro il narratore si spezza: «Qualcosa di molto antico, arcaico e scoppio a piangere». Cioè «Piango cinquantatré anni dopo. Piango cinquantatré anni troppo tardi. Piango le lacrime di cui sia io sia mio papà avremmo avuto tanto bisogno». Ma se Il mio giallo sottomarino è anche un'ode alle lacrime, non per questo è un libro di lamenti: l'autobiografia serve all'autore non per raccontare cosa è successo ma per domandarsi cosa è successo.

«La maggior parte di noi vive in qualsiasi epoca», scrive Stefánsson e si ingegna a dimostrarcelo con la sua contagiosa capacità di muoversi tra frammenti di tempo e schegge di luoghi diversi e lontani, un viaggio nell'incanto gelido e silenzioso delle terre del nord, ma soprattutto un viaggio di emozioni in cammino in un progetto di salvezza non (solo) individuale ma della vita e del suo senso. Nella narrativa di Stefánsson tutto è attuale perché tutto è senza tempo, tutto appartiene al presente come alle sabbie della Mesopotamia di Gilgamesh - «l'antica Mesopotamia che tutti noi ci portiamo dentro» - e tutto è molto reale, perché solo per successive, spesso allucinate approssimazioni è possibile avvicinarsi a ciò che chiamiamo realtà.