Approfondimento
"SHOW, DON'T TELL"
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"SHOW, DON'T TELL"
La recensione de «Il lupo» di Saša Stanišić (trad. di C. Valentini), pubblicata sul blog «Lettura candita» di Carla Ghisalberti il 10 giugno 2024.
"Visto che è di nuovo saltato fuori Jörg, avrai già capito che qui si parla anche di lui. Diamo un'occhiata alla stanza e già che rifletto su di lui mentre aspetto la sua risposta alla mia domanda se preferisce sopra o sotto nel letto a castello, ne approfitto per raccontare ancora un po' di Jörg. Le cose stanno così: nessuno vuole avere a che fare con lui. Passa tutte le ricreazioni da solo con il suo panino. Nessuno si dà appuntamento con lui dopo la scuola. E quando ci sono lavori di gruppo da fare, gli insegnanti lo mettono sempre con ragazzi di cui sanno per certo che lo lasceranno in pace.Jörg è il classico tipo che conoscono tutti. Uno che è diverso, e per favore non fraintendermi! Ovviamente siamo tutti diversi e bla bla bla..."
Dopo lo sfogo avuto con gli educatori e davanti a tutti - IO ODIO LA NATURA - in cui dichiara chiaro e tondo che lui è lì non per sua scelta ma perché è stato obbligato, va da sé che intorno a lui, in quel campo estivo nel bosco, gli altri partecipanti felici di essere lì, lo lasciano da solo.
L'unico altro solo "storico" è per l'appunto Jörg. Casetta di legno da condividere con il bersaglio per eccellenza: quel ragazzino che tutti evitano e che catalizza le peggiori cattiverie di tre bulletti, anche loro in questa famigerata settimana nei boschi.
Giorno dopo giorno, le attività fervono e, mentre Jörg nei boschi sembra trovare una propria dimensione ideale, lui fatica. Si autoesclude da ogni attività di gruppo, incrocia il meno possibile i suoi educatori e impara a tener loro testa. Incrocia però anche la simpatia del burbero cuoco, l'unico a prenderne le parti. Riesce ad avvicinarsi a una sua compagna, tra una goffata e l'altra, ma soprattutto lentamente entra in sintonia con quello Jörg che, a vederlo da vicino, ha un suo fascino.
Tra farfalle vere e cervi immaginati, tra zanzare frequenti e rari momenti di pace, tra prove di coraggio mancate e fughe riuscite, il tempo scorre. E tutto assume contorni più definiti per poter distinguere eventuali percorsi da fare...
Il topos di partenza lo si può considerare un classico della letteratura per ragazzi: partenza per campo estivo, controvoglia. Si potrebbero citare esempi illustrissimi e si potrebbe costruire una ricca e bibliografia sull'argomento, sapendo che anche il punto di arrivo rientra in qualche modo nel medesimo canone.
Ma, se si vuole dare retta a una delle tante frasi lapidarie che costellano questo buon racconto di Stanišić, il cimento non sta nel raggiungimento del traguardo, ma nel percorso da fare per arrivarci, in sostanza, si può riassumere così: "la meta è il cammino".
Quindi ho pensato che potesse essere quello il terreno in cui andare a cercare il senso ultimo di questa storia.
A parte la sottile ironia che lo attraversa, nella voce del protagonista sempre pronto a definire come precisi e stereotipati i contorni di certi personaggi, salvo poi doverne ammettere complessità ben diverse, mi sembra divertente il ripetuto passaggio dal piano di realtà e quello dell' immaginazione che attraversa la storia: gli dà il titolo e offre divertenti spunti alla bravissima Regina Kehn che, tra cervi e lupi, racconta la sua versione dei fatti.
Accanto a questo entrare e uscire dalle due dimensioni, è appunto l'ironia l'altro importante registro. Con ironia, sarcasmo alle volte, è stato messo a fuoco l'intero panorama degli adulti che abitano in questa storia: gli educatori. Loro sono, per ruolo, il bersaglio dell'io narrante, dettato ad evidenza dal quel suo essere lì, giocoforza, vittima degli adulti. Due parole su di loro.
Il più "rotondo" di tutti è il cuoco. A lui il compito di essere l'anello di congiunzione tra due mondi che secondo l'io narrante, faticano tanto a intendersi. Lui, con la sua forte dose di empatia che lo rende capace di creare subito buone sintonie nei confronti dei piccoli, con gesti silenziosi, con richiami secchi: "Witschi", incarna "la zia mitica" (cfr. La porta segreta, p. 38). Pur non venendo mai meno a se stesso e al suo ruolo nella comunità, è in grado di ascoltare e quindi di dare spazio a chiunque.
E anche di prendere le distanze dei grandi, quando serve, e a criticarne le scelte, se non altro in campo musicale...
Più monolitico è il resto della truppa di educatori. Seppure con le loro singole declinazioni, descritti con una sottile e costante ironia che ne mette in ridicolo le idiosincrasie personali, dimostrano una certa capacità di voler gestire e/o non voler gestire le singole situazioni.
Continua a ronzarmi nella testa una frase detta dagli educatori e che Benisha riporta a Jörg con tono sconfitto, dopo aver assistito a uno degli atti di protervia che il ragazzino subisce: "I nostri conflitti dobbiamo cercare di risolverceli da soli. Prima di rivolgerci a loro." Non so, ma a me è sembrata sottoscrivibile.
E mi sa che anche Jörg, il vero grande Maestro della storia, ne ha fatto tesoro. E questo, in qualche modo, confermerebbe che la chiave è davvero il "cammino", ovvero quale percorso si sceglie di fare per arrivare a ottenere un po' di pace e un posto dove stare nel mondo. In questo senso, seguire le tracce di Jörg, i piccoli gesti che lui compie per tutto il tempo, può essere davvero illuminante.
Un capitolo centrale, il decimo, è nodale. Quello che accade in quelle poche pagine, a mio parere, è la chiave dell'intero libro. I personaggi, che semplicemente, al pari di noi lettori, stanno a guardare ciò che Jörg fa, capiscono da che parte si potrebbe andare.
Sperando che nessuno abbia dimenticato una delle chiavi di una buona storia, "Show, don't tell", qui può con facilità constatare che i bla bla bla sono a zero, mentre i fatti sono il senso.
Bello, così.