Approfondimento

Jon Fosse, tra prosa e teatro: il Premio Nobel per la Letteratura raccontato da Sara Culeddu

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Jon Fosse, tra prosa e teatro: il Premio Nobel per la Letteratura raccontato da Sara Culeddu

Data: 16 Ottobre 2023

In seguito all'assegnazione del Nobel per la Letteratura a Jon Fosse, riscopriamo stile e tematiche ricorrenti nella produzione dell'autore norvegese.

In occasione dell'assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura all'autore norvegese Jon Fosse, condividiamo con voi le parole che Sara Culeddu ha dedicato allo scrittore, tratte dal manuale «Storia delle letterature scandinave. Dalle origini a oggi» (pp. 780-81, 877, 928-31), edito da Iperborea nel febbraio 2019.

La prosa

Localismo e internazionalismo sono due dimensioni chiave anche per l’opera di Jon Fosse (1959), benché in senso diverso: la sua scrittura è infatti molto legata alla realtà locale (norvegese e regionalista), ma raggiunge uno straordinario e duraturo successo oltreconfine, soprattutto in ambito teatrale. Se la narrativa di Fosse condivide con quella di Kjærstad l’arte della ripetizione, a separarle è invece il forte tratto minimalista della prima, spesso incentrata su piccole rivelazioni improvvise che si palesano in passaggi di carattere epifanico.

Dopo il debutto nel 1983 con il romanzo «Raudt, svart» (Rosso, nero), ricco di suggestioni che rimandano a Tarjei Vesaas, altro grande scrittore nynorsk, lo stile peculiare di Fosse comincia ad affermarsi in «Stengd gitar» (1985, «Chitarra chiusa»): qui una madre si è chiusa fuori di casa lasciando all’interno il figlioletto incustodito e vaga per un giorno intero cercando una soluzione, ma anche perdendosi e distraendosi, in un crescendo di tensione. Il lettore segue il flusso di pensieri incontrollati e di carattere associativo della protagonista, che si articola in cicli, come un loop musicale.

Quello dell’assenza di controllo sulle proprie azioni e sulla propria vita è un tema ricorrente nell’opera di Fosse: molti dei suoi protagonisti sono outsider la cui psiche funziona secondo parametri alieni dalla norma e la cui inquietudine interiore e ipersensibilità li spinge al limite della malattia mentale, come il pittore protagonista di «Melancholia» I e II (1995-96, «Melancholia»). «Morgon og kveld» (2000, «Mattina e sera») tratta invece momenti di confine, come la nascita e la morte, che la lingua a stento può esprimere e lo scrittore si avventura dunque in una dimensione al limite del dicibile. Il linguaggio associativo caratterizza anche i romanzi brevi «Andvake» (2007, «Insonnia»), «Olavs draumar» (2012, «I sogni di Olav») e «Kveldsvævd» (2014, il titolo è un termine di derivazione norrena che rimanda alla chiusura dei fiori al calare della sera), anche detta «La trilogia degli insonni». Si tratta di un concentrato capolavoro di poesia che è stato insignito del premio del Consiglio nordico nel 2015 e presenta tratti marcatamente teatrali: la narrazione scorre passando liberamente da monologhi interiori a dialoghi che il lettore è chiamato ad ascoltare, così come è invitato a partecipare con il coinvolgimento di tutti i sensi. Quella di Fosse è infatti una scrittura molto sensoriale, che rende vivido un mondo straordinario e lontano, vicino a quello del mito, e gran parte della sua forza risiede nella lingua evocativa, nella musica e nel ritmo.

Letteratura per l'infanzia

Jon Fosse propone anche nelle brevi prose per bambini i tratti onirici tipici della sua scrittura, che contribuiscono a mettere in discussione la realtà oggettiva: «Uendeleg seint» (1989, «Infinitamente tardi»), «Kant» (1990, «Bordo»), «Søster» (2000, «Sorella»), per citarne alcuni, mettono in scena vicende esistenziali che, anche nel suo caso, si incupiscono sempre più. Fosse sfrutta la letteratura per l’infanzia per fare esperimenti con il linguaggio, ma lui stesso mette in dubbio che i suoi libri per bambini si prestino alla lettura da parte dei più piccoli.

Il teatro

Jon Fosse (1959) debutta come drammaturgo quando è già uno scrittore affermato di romanzi, racconti e poesie e, benché all’inizio i critici teatrali non siano stati generosi nei suoi confronti, alla fine si sono dovuti ricredere di fronte allo straordinario successo, nazionale e internazionale, di uno degli autori a oggi più rappresentati in Europa. Nella sua opera c’è una chiara continuità e una ripetizione di motivi, tuttavia è possibile presentarla individuando cinque diverse fasi e due principali tipologie di drammi, il più realistico stuestykket (pièce da salotto) e il più metafisico drømmespillet (dramma onirico). Il primo presenta una certa unità di azione, spazio e tempo e i personaggi sono per lo più coppie e famiglie; nel secondo, invece, il tempo è più fluido e i personaggi sono deindividualizzati, il simbolismo prevale, il tema dominante è la morte e l’atmosfera è mistica. I drammi di Fosse, tuttavia, si basano sempre su una commistione variabile delle due tipologie.

In una prima fase della carriera dell’autore esse paiono in equilibrio: in «Nokon kjem til å komme» (1992, «Qualcuno arriverà») una coppia si reca in una casa che ha ereditato per mettere in atto un progetto di isolamento destinato a fallire. «Og aldri skal vi skiljast» (1993, «E non ci lasceremo mai») verte sul tema dell’attesa e della nostalgia dell’amore; in esso il realismo si assottiglia e prende spazio il paesaggio interiore. In entrambi i testi i personaggi sono anonimi (Lui, Lei, La Ragazza ecc.). Nella prima fase di Fosse si può includere anche il monologo «Gitarmannen» (1994, «Il chitarrista»), che presenta il primo di una serie di chitarristi falliti i quali raffigurano nell’opera di Fosse la perdita delle illusioni e una difficile rassegnazione.

Nella seconda fase, di cui fanno parte «Namnet» (1994, «Il nome»), «Barnet» (1995, «Il bambino»), «Mor og barn» (1996, «Madre e bambino») e «Natta syng sine songar» (1997, «E la notte canta»), Fosse pende verso lo stuestykket realista. Ai personaggi e alle dinamiche già note si aggiunge ora la riflessione sul rapporto tra nome, identità e appartenenza, e proprio il concetto di appartenenza (a una stirpe, a una famiglia) sprigiona la sua ambivalenza: da un lato dà un senso di protezione e continuità, dall’altro una sensazione di prigionia da cui scaturisce un bisogno di liberazione. Quest’ultima è spesso cercata nel mare, che nell’opera di Fosse simboleggia la morte.

Nella terza fase sembra sopraggiungere un’irrequietezza che muove verso una maggiore sperimentazione formale: in «Ein sommars dag» (1997, «Un giorno d’estate») e in «Draum om hausten» (1998, «Sogno d’autunno») Fosse sfida l’unità di tempo e di azione. Nel primo troviamo ancora una coppia che trasloca, l’attrazione per il mare, l’annegamento e l’immagine della donna alla finestra come simbolo di una condizione limite in cui si può rimanere per sempre. Il secondo, che è ambientato in un cimitero, presenta salti temporali arditi e non è suddiviso in atti, costituisce un passo importante verso lo sviluppo di un modo originale di concepire il dramma poetico. Fa la sua comparsa l’elemento «fluido»: c’è fluidità tra i piani temporali, tra pensiero e parola, tra sogno e realtà e tra un personaggio e l’altro. Da un punto di vista tecnico è forse il capolavoro di Fosse, proprio in quanto combina il montaggio sperimentale con una trama tradizionale: l’autore prende un dramma familiare e lo porta in una dimensione onirica. Il tema è ancora quello del conflitto fra tradizione, dovere e stirpe da un lato, e modernità, autorealizzazione e individualismo dall’altro: l’angoscia di sparire nel grande nulla del tempo è contrastata solo dalla filiazione e dalla discendenza, ma vale davvero la pena di sforzarsi per dare un senso alla propria vita?

Nella fase successiva della sua produzione, Fosse approfondisce la ricerca teatrale sulla linea dei lavori precedenti, di nuovo con slanci verso il sogno, come in «Dødsvariasjonar» (2000, «Variazioni di morte»), sul tema del suicidio, riprese dello stuestykket come in «Dei døde hundane (2003, «I cani morti) o passi avanti nella sperimentazione come in «Sa ka la» (2003).

È nell’ultima fase che Fosse tira le fila della sua esperienza drammaturgica concentrandosi su drammi onirici minimalisti in cui la concretezza lascia sempre più spazio all’astrazione e gli aspetti psicologico-sociali a quelli mistico-religiosi. L’azione e la scenografia sono ridotti al minimo e lo spazio è indefinito. In «Svevn» (2003, «Sonno») a essere indefiniti sono anche il tempo e i personaggi: forse si tratta di figure distinte oppure della stessa considerata in diverse fasi della vita. «Varmt» (2004, «Caldo») si incentra su un triangolo erotico alla luce del tema della ripetizione. «Rambuku» (2005) e «Skuggar» (2005, «Ombre») sono invece variazioni sul tema della morte, ambientati sul limite od oltre la soglia dell’aldilà. In un certo senso lo è anche «Eg er vinden» (2008, «Io sono il vento»), il cui argomento è la decisione se vivere oppure no, messa in scena attraverso il dialogo tra due uomini (o forse due voci di una stessa persona), L’Uno e L’Altro, che si trovano in barca e sostengono rispettivamente le due posizioni, finché uno si annega.

Già dai primi lavori, il teatro di Fosse assume una forma riconoscibile: i personaggi vengono inseriti in contesti quotidiani semplici, seppure potenzialmente esplosivi e, più che dall’azione, i drammi sono caratterizzati da un’unica situazione che spesso si moltiplica e si ripete. Nello stesso modo i dialoghi, più che a portare avanti l’azione, sono funzionali a cristallizzare una certa atmosfera: e tuttavia sul palco succede sempre qualcosa. I personaggi sono per lo più anonimi, così come i luoghi, mai determinati e in gran parte archetipici (la casa, la barca, il salotto ecc.). Dal punto di vista stilistico la scrittura di Fosse è minimale e concreta e il suo stile poetico: i versi liberi, ritmici e musicali, si combinano con una lingua di tutti i giorni dagli echi mistici. Spesso la difficoltà che i personaggi mostrano nell’esprimersi è il segno di come la lingua non sia sufficiente per comunicare l’essenza delle cose: in questo senso vanno interpretati interruzioni, ripetizioni, pause e silenzi. Il segreto del teatro di Fosse è forse proprio in quell’equilibrio tra realismo psicologico e assurdismo che lo rende il più importante fenomeno della drammaturgia norvegese dopo Ibsen.

La poesia

Oltre che nella prosa e nel teatro, la qualità poetica della scrittura di Fosse trova espressione in numerose raccolte di liriche, da quella di debutto «Engel med vatn i augene» (1896, «Angelo con acqua negli occhi») alle più recenti «Songar» (2009, «Canti»).