Approfondimento

Lo Schiavo che c'è dentro di noi

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Lo Schiavo che c'è dentro di noi

Data: 16 Febbraio 2023

Recensione di Michela Marzano a «Kallocaina» di Karin Boye (trad. Barbara Alinei) pubblicata su Robinson – La repubblica il 21 gennaio 2023

Siete capaci di ascoltare la verità, voi? La cosa triste è che non tutti sono abbastanza veri da poter sentire la verità. Potrebbe essere un ponte fra gli uomini, finché è volontaria, sì, finché è data e ricevuta come un dono gratuito. Non è strano come tutto perda valore non appena cessa di essere un dono, perfino la verità?». Tradotto per la prima volta nel 1993, l’ultimo romanzo della scrittrice svedese Karin Boye, Kallocaina. Il siero della verità, è tornato in libreria con un’interessante postfazione di Vincenzo Latronico.

Pubblicato nel 1940, un anno prima che Karin Boye si suicidasse, Kallocaina è un romanzo distopico che può senz’altro essere incluso nella serie delle anti-utopie che, come Il nuovo mondo di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell, videro la luce nella prima metà del Novecento. A differenza di questi altri romanzi, però, Kallocaina non si limita a raccontare il futuro disumanizzato dalla dittatura; Karin Boye è interessata soprattutto a narrare quella sottile e terribile capacità che hanno gli esseri umani di accettare volontariamente la schiavitù e il dominio, nonostante la presenza all’interno di sé stessi di un forte desiderio di libertà. Proprio come accade al protagonista (e voce narrante) di Kallocaina, lo scienziato Leo Kall: dopo aver scoperto una sorta di siero della verità – che Leo, a partire dal proprio cognome, desidera far chiamare “kallocaina” – il chimico realizza, suo malgrado, i danni prodotti da questa sostanza. Iniettando il siero su alcune cavie umane, ossia su una serie di persone che dipendono dal “Servizio Sacrificio Umano”, lo scienziato si rende conto della grande efficacia della sostanza e, inizialmente, è preso dall’euforia: «Vedo già il tempo in cui tutti, prima di essere assunti, saranno sottoposti a un esame di kallocaina, esattamente come adesso ai normali test psicotecnici. Così non solo le competenze professionali, ma anche la validità dei camerati sarà di pubblica conoscenza. Arrivo perfino a immaginare un esame annuale obbligatorio di kallocaina per ogni compagno soldato». Poi, pian piano, Leo è costretto a ridimensionare aspettative e sogni. Non solo ciò che la kallocaina rivela delle persone è inquietante, a tratti deprimente – tutti coloro cui viene iniettato il siero nascondono all’interno di sé un mondo insospettabile, fatto di vigliaccheria e di tristezza, di paura e di fragilità. Ma è anche Leo stesso che, una volta di fronte ai propri segreti, deve accettare l’evidenza: in fondo, è lui il primo a essere diverso da come aveva sempre immaginato (e sperato) di essere.

All’interno di un universo in cui si viene educati a credere che nulla è più importante del sacrificio individuale, che il benessere non è un valore in sé, e che le relazioni umane sono sempre e solo strumentali, la scoperta della kallocaina permette al Ministero della Propaganda di far approvare una legge sui delitti del pensiero che colpisce alla cieca chiunque, anche se innocente: «Coscienza sporca? Ripeté e nitrì di nuovo. Che importanza ha se hanno la coscienza pulita o sporca? Possono anche essere sicuri e tranquilli come un due lire – ma nessuno potrà sfuggire. Sfuggire alla denuncia, intende? Intendo alla denuncia e alla condanna». E Leo, che inizialmente si illude di poter salvare lo “Stato Mondiale” proprio grazie alla propria scoperta, si trova prima confrontato a gente che denunzia a casaccio compagni e colleghe per paura, poi anche di fronte alle contraddizioni sue e di sua moglie Linda: «Linda non sapeva niente dei pazzi e della loro Città Deserta, eppure sarebbe stata ineluttabilmente condannata dalla legge come loro, lei che sognava una coesione diversa da quella dello Stato. E d’altronde anch’io sarei stato condannato. Non sentivo forse anch’io tra lei e me quell’unione ineluttabile, più forte di tutte le leggi?».

A differenza di George Orwell che, in 1984, racconta gli effetti del totalitarismo perfetto, Karin Boye sceglie di mostrare l’ambivalenza umana e di narrare come chiunque di noi, in fondo, possa scegliere volontariamente di aderire all’apparato repressivo di uno Stato totalitario. La scrittrice svedese non si interessa tanto alla menzogna istituzionalizzata, come aveva fatto Orwell, quanto alle menzogne che ogni persona si racconta quando si illude di poter essere felice anche se le viene insegnato a rinunciare a ogni relazione autentica. Non è un caso che il linguaggio di Kallocaina evolva e che, mentre all’inizio è volutamene arido e burocratico, con il passare del tempo diventi complesso, a tratti più colloquiale, a tratti persino poetico. Attraverso questo racconto (ingiustamente meno noto sia di 1984 che di Il nuovo mondo), Karin Boye ci regala un piccolo gioiello, un libro capace di descrivere, come solo i capolavori sono in grado di fare, i molteplici conflitti interiori che caratterizzano da sempre l’umanità.