Approfondimento

Ho portato in Italia mio fratello Stefánsson e adesso devo tenere a bada la sua "foga"

Approfondimento

Ho portato in Italia mio fratello Stefánsson e adesso devo tenere a bada la sua "foga"

Data: 30 Novembre 2022

«Diario di traduzione» di Silvia Cosimini relativo al nuovo romanzo di Stefánsson, pubblicato su TuttoLibri - La Stampa, il 29 ottobre 2022

Io Jón Kalman Stefánsson l'ho proprio voluto. L'ho preteso dal giorno in cui ho convinto un'amica comune, una poetessa islandese, a farmelo conoscere, invitandoli entrambi per un caffè nel seminterrato dell'Associazione Autori Islandesi a Reykjavík dove alloggiavo nel 2006. Non era ancora stato tradotto all'estero, se non forse in tedesco; io avevo letto solo «Luce d'estate» in originale e quel pomeriggio davanti alla tazza di caffè non avevo nulla da dirgli, se non che avrei fatto di tutto per portarlo in Italia. Lo sentivo più mio di tutti gli altri autori islandesi che avevo tradotto; ero convinta di aver già capito i toni della sua prosa e di essere in grado di consegnarla intatta alla mia lingua, o comunque senza troppi strappi. Non mi sono chiesta, come spesso mi succede quando traduco un autore nuovo, come sarei riuscita a rendergli giustizia, o a non fare un torto a lui e alla sua prosa. Sentivo di aver trovato la sua voce ancora prima di cominciare: Jón Kalman Stefánsson doveva uscire in italiano, e doveva uscire tradotto da me. Credo che nel corso della mia attività non mi sia mai più capitato un episodio altrettanto presuntuoso e assertivo, così privo di dubbi - quando il dubbio, l'arte di esitare, è una costante e il fondamento della mia professione. Davvero preoccupante.

Da quel pomeriggio del 2006 mi sono introdotta nella sua realtà («sembra tuo fratello», dice una mia amica islandese, quella che mi fece leggere «Luce d'estate»), e ho visto espandersi il suo universo, personale e letterario, proprio come lo spazio cosmico che tanto avrebbe voluto studiare da ragazzo.
Dai primi passi incerti nella poesia ai primi romanzi contenuti, modesti, che raccontavano i paesini costieri islandesi in dissolvenza; dalla trilogia del ragazzo nei Fiordi Occidentali, che l'ha catapultato verso il successo, fino ai romanzi sempre più complessi e infine a questo, l'ultima sua produzione in prosa, uscito nell'ottobre del 2020 in piena pandemia. «La tua assenza è tenebra» («Ma no, "La tua assenza non è che tenebra" suona meglio, è pura poesia» mi ha rimproverato il mio collega francese) si definisce già dal titolo come un romanzo su chi non c'è. Non è una novità, Stefánsson ha sempre parlato di morte nelle sue storie. Un po' perché in Islanda i morti hanno un ruolo non da poco - già nelle saghe medievali chi è morto non lo è mai del tutto, magari torna a farti visita, ti svuota la credenza, ti gioca brutti scherzi. Ma soprattutto perché la spinta, l'urgenza di scrivere in Stefánsson si riconduce proprio a questo, al disperato tentativo di salvaguardare dall'oblio chi ci è stato vicino, chi è stato importante, chi è stato amato e adesso non c'è più, perché non abbia vissuto invano e non scompaia per sempre. Un romanzo sull'assenza, sì, ma poi in realtà è pieno di persone vive e vegete, con le loro pulsioni e le loro grettezze. Chi ha imparato a conoscere quest'autore islandese lo sa: i suoi sono romanzi pieni di vita, di vite normali, meschine e straordinarie. Spesso ritagliate in momenti e poi ingarbugliate in flashback e «fast forward»: abbiamo capito che Stefánsson detesta le trame lineari. Gli piace costringere i lettori a seguire più fili, e obbligare la sua traduttrice a disegnarsi su un taccuino schemi e alberi genealogici, per tenere traccia scritta di parentele, spostamenti, nomi. «La tua assenza è tenebra» è anche un romanzo sulle scelte. In queste pagine si incontrano molti personaggi costretti a decidere tra il sacrificio di sé al fianco del coniuge e la propria felicità, la possibilità di accogliere un nuovo amore. Che cosa è più giusto fare, obbligarsi a una rinuncia o seguire il cuore distruggendo la propria famiglia? La domanda resta aperta, è uno dei grandi interrogativi a cui il romanzo non offre soluzioni. Anche la traduzione è così, in fondo: ti obbliga a scegliere il male minore, oppure a imboccare consapevolmente una deviazione. Che cosa è giusto, e cosa sbagliato? È sbagliato, mi chiedo a volte, tenere a bada la sua parola preferita, «ákafi» («foga», «zelo», «passione», «intensità»: ne ho incontrate anche quattro in una sola pagina, declinate in ogni funzione possibile), modulandola di volta in volta perché pare che l'italiano mal sopporti le ripetizioni; forse dovrei farla emergere così com'è, sempre uguale, in una lingua che grazie alla ricca flessione nominale ripete senza ripetere davvero.

«La tua assenza è tenebra» però è anche un romanzo sugli equivoci dell'esistenza, sulla realtà che ha molte più facce di quante pensiamo: il narratore offre solo una versione parziale delle vite raccontate, come se la realtà si costruisse su molteplici dimensioni (di nuovo, un universo espanso) e il narratore ne conoscesse soltanto una. La realtà dei fatti si rivela solo a poco a poco, grazie a lettere, a resoconti da punti di vista diversi, a personaggi che si raccontano ad altri personaggi, così che il lettore dovrà decostruire e ricostruire ad ogni pagina, via via che si rivelano nuovi dettagli o nuove prospettive sullo stesso evento. Stefánsson ce lo dice, in un punto del romanzo: «Noi descriviamo il mondo come lo vediamo di volta in volta. E nessuno l'ha mai descritto talmente bene che non sia possibile farlo meglio». Frase che si applica perfettamente anche alla traduzione, processo che ammette la perfettibilità. In fondo, allora, di che cosa parla, «La tua assenza è tenebra»? Con i romanzi di Stefánsson è impossibile rivelare la trama in poche righe, si finisce per banalizzare, appiattire, dimenticare che l'incanto della sua scrittura sta altrove; ci provo, citando il passaggio in cui uno dei personaggi si sofferma davanti alla tomba dell'amato a guardare l'iscrizione sulla lapide, le date incise. Una data di nascita e una data di morte, e in mezzo un trattino che deve contenere un'intera esistenza, i pensieri, le aspirazioni, il carattere, gli sguardi, le mani, le cose che sapeva fare. Ecco, i romanzi di Jón Kalman Stefánsson sono proprio così - c'è un inizio, c'è una fine, e in mezzo c'è tutto.
Jón Kalman
Stefánsson

Nato a Reykjavík nel 1963, ex insegnante e bibliotecario, si dedica alla poesia prima di passare alla narrativa, distinguendosi subito per una lingua di singolare ricchezza evocativa e diventando uno dei più amati scrittori nordici. Attraverso potenti affreschi dell’Islanda di ieri e di oggi, i suoi romanzi affrontano le grandi …

Scheda autore