Approfondimento
Un'intervista a Kader Abdolah in occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo Il faraone d'Olanda
Approfondimento
Un'intervista a Kader Abdolah in occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo Il faraone d'Olanda
Un'intervista di Monica Perosino, pubblicata su La Stampa - TuttoLibri, il 03.09.2022
Un celebre egittologo che sta perdendo la memoria e un segreto nascosto in cantina, il viaggio verso un Paese che si credeva perduto e la morte che non fa più paura: la memoria e l'amicizia, la vita da esule tornano nel nuovo romanzo dello scrittore iraniano rifugiato in Olanda.Gesticola molto Kader Abdolah. Come se avesse bisogno di dare più volume alle parole. Le solleva, le spinge, indica la direzione dei pensieri, occupa spazi, modifica il tempo e l'immaginario. Gesticola, ma non serve, le sue parole hanno un peso speciale, magico, anche quando racconta che ogni mattina fa colazione con un po' d'uva e una fetta di melone. Come se una fetta di melone, nel mondo in cui ti ha portato Kader Abdolah, cessasse di essere una semplice fetta di melone.
«Sarà che forse ho trovato la connessione con la vita?», dice sibillino, e ride di gusto sotto i baffoni bianchi e gli occhi malinconici. Kader Abdolah è nato in Iran nel 1954. Dopo aver partecipato alla rivoluzione, è stato perseguitato prima dallo scià poi dal regime di Khomeini. Nel 1988 è fuggito in Olanda, dove è stato accolto come rifugiato. È stato allora che, girovagando tra le vetrine a luci rosse di Amsterdam, senza un soldo e senza conoscere una parola di quella lingua «dura e oscura», ha deciso che sarebbe comunque diventato uno scrittore, uno scrittore olandese. «In patria non riuscivo a dormire per colpa delle guardie islamiche e ora, in Olanda, non riuscivo a dormire per colpa della lingua. Era diventata il mio nuovo dittatore».
Il resto sta scritto nelle classifiche dei best-seller. Da allora Kader Abdolah è diventato uno dei più importanti scrittori olandesi. Con «Scrittura cuneiforme» ha conquistato il pubblico internazionale, e «La casa della moschea», è stato votato dai lettori olandesi come la seconda migliore opera mai scritta nella loro lingua. «Il Faraone d'Olanda» doveva essere un libro diverso da tutti i suoi precedenti lavori, e lo è, almeno nella scelta della trama e dei personaggi. Ma grattando appena la superficie, tra datteri, coccodrilli del Nilo e pioggia del Nord, quello che ne è venuto fuori è qualcosa di straordinariamente «vicino». «Il Faraone d'Olanda» è davvero un libro diverso?
«Ho scritto molti libri, tutti raccontano della rivoluzione iraniana, dell'esilio, dell'Olanda, del dolore. Sono tutti basati sulle mie esperienze personali. Ero presente durante la rivoluzione iraniana, conosco bene gli Ayatollah e so cosa significa essere un esiliato. Ma questa volta volevo scrivere un romanzo che non avesse nessun contatto con me stesso, che fosse altro da me. Avevo letto un libro del premio Nobel Kazuo Ishiguro, un libro in cui i personaggi non avevano niente a che fare con lui, erano come creati in laboratorio, clonati. In quelle pagine non c'era nulla dello scrittore, non il suo background, né i suoi ricordi. Ed ero così invidioso... Aveva creato un libro dal nulla! Mi sono detto, bene Kader, ora scriverai un libro che non ha nulla a che fare con te. Per questo il primo personaggio che ho inventato è un professore molto, molto olandese, molto lontano da me. Mi sono detto, bravo Kader, hai inventato un personaggio che non c'entra nulla con la tua storia. Ma alla fine qualcosa è andato storto, è venuto fuori che il professore olandese è il personaggio più vicino e più connesso che abbia mai preso vita nei miei libri. Mi sono vergognato e ne sono stato felice allo stesso tempo».
Lei, come il protagonista del romanzo, usa uno pseudonimo, Kader e Abdolah, due esponenti dell'opposizione assassinati dagli Ayatollah. Ma le affinità non finiscono qui, vero?
«Eh no... L'egittologo olandese Herman Raven sta perdendo la memoria. Anche questo dolore, me ne sono reso conto dopo, mi appartiene. Ho scoperto che mia madre ha l'Alzheimer, sta perdendo ricordi e parole. Me ne sono accorto durante una videochiamata: all'improvviso non mi riconosceva più, senza accorgermene ho finito per mettere anche questo nel libro. Ma non è stato intenzionale, come molto altro del resto».
Come la mummia egizia nascosta in cantina, esiliata, costretta lontano da casa?
«Questa mummia che compare nel libro è la cosa più commuovente di cui abbia mai scritto.Molti anni fa, ero a Londra e sono andato al British Museum, nella sezione sull'antico Egitto. Era pieno di queste mummie, re, regine, principi, principesse... Andavo lì ogni giorno, le guardavo e continuavo a ripetermi: "Non appartengono a questo posto, devono tornare a casa". E all'improvviso nel libro è comparsa questa mummia, una regina egizia in una cantina di un uomo olandese, nascosta in un piovoso e freddo Paese. I due protagonisti la vogliono riportare a casa, Io la voglio riportare a casa. È questo il momento più profondamente vicino alla mia anima, più importante e toccante: perché tutti dovrebbero poter tornare a casa».
Cos'è "casa" per Kader Abdolah?
«Le dirò una cosa che ho capito della vecchiaia, della morte,dellacasa.L'altraseraparlavo con mia figlia. Le ho detto: "Quando muoio, riportami a casa, mettimi in una tomba vicino a mio padre, o da qualche parte nella terra calda". Ma ora, che sto lavorando a un nuovo libro sul più grande poeta persiano di tutti i tempi, Jalāl al-Dīn Muhammad Rūmī, ho scoperto qualcosa di importante».
Cosa?
«Per tutta la vita ho pensato che "casa" fosse un posto fisico a cui tornare. Ma quella casa per me non esiste più, perché mia madre è stata portata in una casa di riposo, mio padre è andato, gli alberi sono andati, i gatti sono andati, tutto se n'è andato, i vicini se ne sono andati. Rūmī è fuggito dall'Iran quando sono arrivati i mongoli, ed è andato prima alla Mecca, poi in Siria, poi in Anatolia, oggi Turchia, dove ha vissuto e dovehascrittoilpiùbellibrodi poesie in persiano di tutta la sua vita e dove è stato sepolto. Dunque, dov'è casa? Casa sono le parole, la poesia, il linguaggio dei pensieri. Kader non è importante, l'uomo non è importante, sono importanti le sue parole. Per me - ed è triste dirlo - ora la lingua olandese è casa, ma vorrei tornare alla mia lingua madre, alla lingua del mio Paese, vorrei tornare a casa. Anche se posso solo sognarlo, perché sto invecchiando e tornare a casa adesso è impossibile. Dunque per me casa non è l'Olanda, non è Amsterdam, non è questo Paese piovoso, ma è la lingua olandese, quella con cui ho scritto i miei libri».
Una mummia che non dovrebbe essere lì, e Abdulkarim, un riparatore di lavatrici egiziano con un talento eccezionale per la pittura. Parliamo della violenza dell'esilio?
«Abdulkarimèunmonumento a tutte le persone che sono state costrette a lasciare il proprio Paese, la propria cultura. È anche il simbolo di un esilio che può abbattersi anche su chi non è costretto a lasciare la propria terra, ma che è lontano da se stesso comunque. L'esilio, però, può anche essere una forza estremamente positiva».
Come?
«Ha questo enorme potere di spingerti verso te stesso, verso le tue radici personali, verso il tuo Io autentico. Abdulkarim è un riparatore di lavatrici, ma allo stesso tempo non lo è. L'esilio l'ha cambiato, l'esilio cambia tutti quanti, ma se sei libero e apri le tue finestre al cambiamento può essere il motore che ti riporta alla verità della tua anima. Ti può cambiare in peggio o ti può aiutare a essere te stesso. Abdulkarim è stato spinto a essere se stesso».
In tutti i suoi libri c'è questa tensione verso la riconnessione con il tutto, con il passato, ma anche con il futuro.
«La vita è meravigliosamente complicata ma è più organizzata di quanto si immagini. Tutti parlano del caos, ma io ho studiato fisica e lo vedo con chiarezza: la vita è organizzata, è un sistema complesso che segue delle regole. Ma c'è una cosa che devi fare: essere in contatto con la vita, con le galassie, le stelle, l'universo, i buchi neri. Se sei in contatto con l'universale il sistema funziona e ha un senso, tutto diventa possibile e quello che stai cercando in realtà sta cercando te. È la magia della vita, la chiamata, quello che le persone sagge e nobili hanno scoperto e hanno tramandato nei libri. Come nella bibbia: se cerchi, trovi. Se chiedi, ottieni. Sono le regole della vita».
Non è un'impresa facile...
«No, per essere connesso alla vita, e al mondo, prima devi entrare in contatto con te stesso, devi essere onesto, spingere fuori tutto quello che non c'entra.Tutti hanno un dono, un talento, se riesci a metterti in contatto con questo tuo particolare talento, qualunque esso sia, entri in contatto con il tutto. Non c'è altra strada. Allora sì che puoi chiedere e ottenere».
Se potesse tornerebbe in Iran?
«Farei subito la valigia. Mi manca il sole, mi mancano le persone, e soprattutto voglio essere di nuovo insultato».
Vuole essere insultato?
«Sono stato offeso dal regime, 80 milioni di persone sono state offese dal regime, ma io sono seduto qua, tranquillo, al sicuro. Voglio essere insultato con loro, ancora. L'Olanda è un Paese meraviglioso, ma non ho bisogno di tutta questa felicità ,di tutto questo amore, di tutto questo successo. Non va bene, non funziona. Non ho più bisogno di scrivere in olandese, non ho bisogno di tutta questa pioggia e di questa onestà. Ne ho ricevute a sufficienza».
Kader
Abdolah
Abdolah
Kader Abdolah, nato in Iran nel 1954, perseguitato dal regime dello scià e poi da quello di Khomeini, dal 1988 è rifugiato politico nei Paesi Bassi. Da quando ha cominciato a scrivere nella «lingua della libertà», coniugando le tradizioni letterarie di Oriente e Occidente, è diventato uno dei più importanti …
Scheda autore →