Approfondimento

Čapek, nel Nord il tempo di ghiaccio

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Čapek, nel Nord il tempo di ghiaccio

Data: 11 Luglio 2022

Una recensione di Massimo Onofri a «Viaggio al Nord» di Karel Čapek pubblicata su Avvenire, il 02.07.2022

Nel 2017 appariva in Italia, per i tipi di Luiss University Press, il bellissimo libro di Andrea Wulf - celebrata e prolifica storica di successo internazionale - L'invenzione della natura, dedicato, come recita il sottotitolo, alle «avventure di Alexander von Humboldt», l'eroe perduto della scienza, l'instancabile viaggiatore in ogni angolo del mondo pronto a stupirsi con occhi di poeta e naturalista per ogni traccia di bellezza che gli restituissero fiumi e montagne, piante e animali. Assai noto il giudizio di Thomas Jefferson che lo incoronò «tra i principali artefici della bellezza», se non vogliamo ricordare che tra i suoi ammiratori più convinti ci furono Goethe, Coleridge e Wordsworth, ma anche il protettore laico di tutti i viandanti che sono venuti dopo e cioè Henry David Thoreau. Si potrebbe persino affermare che la nostra idea di Natura, ma anche il modo di pensare il mondo così come ci si offre all'immaginazione contemplativa, non sarebbero gli stessi senza il magistero di questo contemporaneo di Napoleone (nacquero entrambi nel 1769). Anche Karel Čapek, nel suo Viaggio al Nord - ora tradotto da Susanna Chiti Chytilová e Nilo Pucci per Iperborea (pagine 210, euro 18) con una prefazione di Cees Nooteboom e le illustrazioni dello stesso autore -, poteva a buon diritto contarsi tra i seguaci di Alexander von Humboldt seppure, con ogni probabilità, non l'avesse mai letto. Ma chi fu veramente Karel Čapek, al di là di quella notorietà universalmente guadagnata per essere stato il primo scrittore ad aver usato la parola robot nel dramma in tre atti R.U.R. (I robot universali di Rossum)? Lo stesso che nel romanzo di fantascienza Krakatite (1922) ipotizzò la vicenda d'uno scienziato che si trovava a scoprire la formula di un micidiale esplosivo tale da scatenare l'interesse delle principali potenze internazionali, preconizzando così la bomba atomica.

Pare che nel 1939, l'anno di pubblicazione di questo suo libro, i tedeschi che occupavano la Cecoslovacchia - ce lo racconta Luca Sanfilippo nella nota biografica - fossero andati a prelevarlo a casa ma del tutto invano: Karel Čapek, infatti, era morto di polmonite qualche mese prima, nel giorno di Natale del 1938, a soli 48 anni. Viaggio al Nord , il suo libro terminale, era stato generato da uno dei momenti forse più felici della sua vita: quella sorta di pellegrinaggio tanto desiderato sin dagli anni dell'adolescenza e finalmente realizzato con la moglie nel 1936, che lo aveva portato prima in treno attraverso Danimarca e Svezia, per poi costeggiare in battello la Norvegia, ma anche "il Lotofon" («non si dice le Lotofen, anche se si tratta di un gruppo di isole»), fino a giungere a Capo Nord, per tornare infine in Svezia, l'antica «terra gotica», tra i «nobili contadini» del Götland. Un viaggio incantato, restituito nel miracolo di un'aria tersissima forse perché concepito in un'Europa già attraversata dai bagliori della futura catastrofe, in pagine che richiamano, per quel sentimento di felicità impossibile, il pur tanto diverso libro di memorie di Stefan Zweig, Il mondo di ieri (1941), lo scrittore che un anno dopo, all'apice d'una disperazione personale e storica, si suicidò.

Ha ragione Nooteboom: i veri protagonisti del libro di Čapek sono i paesaggi, coi loro perenni ghiacciai, la generosità delle acque e i fiordi, le austere e rigorose montagne, dentro i loro continui riverberi di luce, se è vero che lo scrittore «dà il meglio di sé» proprio quando descrive «l'incredibile varietà di sfumature della luce sulla superficie del mare», nel mentre «la notte ritorna impercettibilmente mattino» e «il mattino si fa giorno» e poi di nuovo sera, «senza che ci si renda conto dello scorrere del tempo se non guardando l'orologio». Seppure gli uomini e le donne siano personaggi secondari rispetto all'imponenza della natura - si pensi alle foreste sconfinate della Svezia -, il fattore antropico non è di poca importanza nella definizione del genius loci. Sentite qua: «Un grosso bambino di campagna, con una testa troppo grande e troppo astuta: questa è la Danimarca». O ancora, a proposito delle biciclette che, in Danimarca come in Olanda, «frusciano per le strade a sciami»: «Qui la bicicletta ha cessato di essere un mezzo di locomozione per divenire un elemento proprio del paese, come la terra, l'aria, l'acqua e il fuoco». E che dire delle pagine sulla linea ferroviaria per Bergen in Norvegia? Ora si parla della pietra: «Ma ci sono anche montagne che non sono tornite ma tagliate in verticale o in orizzontale, spaccate da cunei di ghiaccio stratificati su se stessi in lastre, simili a tavole incastrate l'una nell'altra come tegole, arricciate, piegate, spezzate o tagliate». È il frutto d'«una terribile lavorazione nel granito», durata un'era geologica: «Eh sì, il periodo glaciale è stato un'enorme officina». Per una conclusione che non ammette smentite: «Chi non ha propensione per la pietra non sa molto della bellezza e della grande dignità del mondo».
Karel
Čapek

Karel Čapek (1890-1938) è stato uno degli scrittori cechi più originali degli anni Venti e Trenta e la sua produzione ha ispirato gran parte della fantascienza europea e americana. Ingegnose e straordinariamente previdenti, piene di umorismo e arguzia, le sue opere esplorano e difendono l’umanità che è dentro ognuno di …

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