Approfondimento
Le parole sono un campo di pietre non curate diventano aride e sterili
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Le parole sono un campo di pietre non curate diventano aride e sterili
Una recensione di Simona Sparaco a «Campo di pietra» di Tove Jansson, pubblicata su La Stampa - TuttoLibri il 2.07.2022
Jonas è un giornalista in pensione che ha dato troppo al lavoro e poco alla famiglia In vacanza con le figlie si dedica alla biografia di un magnate dei media e riflette su di séÈ appena uscito per Iperborea il romanzo Campo di pietra, un piccolo capolavoro, e piccolo solo per numero di pagine. La sua autrice, Tove Jansson, è considerata in Finlandia, il suo paese natale, un monumento nazionale, ma è più nota al resto del mondo per i libri che ha scritto rivolti all'infanzia. Per fortuna, nell'ultima parte della sua vita, la Jansson si è dedicata anche a una decina di romanzi per adulti e Campo di pietra rientra tra questi. Al centro della storia c'è un giornalista, Jonas, che è appena andato in pensione dopo aver dedicato tutta la vita alla scrittura. Prima ancora del protagonista, infatti, è la parola al centro di questo romanzo, apparentemente semplicissimo, che ci regala però una complessità di sguardo e una capacità allegorica che lo rendono prezioso. Siamo sul finire degli anni settanta, che Jonas ha vissuto come firma di un quotidiano importante, trascorrendo le giornate a intervistare gente e a cercare, tra le tante parole, quelle che riteneva esatte per l'espressione dei suoi pensieri, spesso sardonici e irriverenti, e ora che la vecchiaia avanza e la resa dei conti si fa vicina, è diventato diffidente verso tutto e tutti. Le parole si sono come logorate, hanno perso la loro potenza espressiva, e le parole che la Jansson trova per aprirci un varco nelle intime riflessioni di quest'uomo sembrano essere quasi un presagio rivolto al regno odierno dei social media, dove le fake news si alternano alle invettive di feroci haters capaci di far degenerare uno scambio in poche battute.
Quello che Jonas, con acutezza e disincanto, si ritrova a vivere è una presa di consapevolezza, anche dei suoi fallimenti, mirabilmente descritti attraverso l'allegorica rottura di una lampada a petrolio a cui l'uomo cerca di porre rimedio semplicemente pulendo la fuliggine dal vetro, con il risultato di spargerla ovunque nella casa. La casa è un cottage di campagna dove Jonas sta trascorrendo una vacanza con le due figlie ormai adulte e che non si è mai posto il problema di conoscere. Beve di nascosto e ha atteggiamenti dispotici e maschilisti, come molti uomini del suo tempo, quelli che la guerra, nei paesi scandinavi, ha segnato irrimediabilmente. Finché è stato sposato ha trattato con disprezzo soprattutto la moglie, che però, come del resto anche le figlie, era una figura accudente, e che lui ha sempre dato per scontata.
Nella resa dei conti Jonas realizza i suoi limiti, tutte le mancanze e le omissioni. Le donne della sua vita lo hanno sempre trattato con timore e rassegnazione, hanno adottato la strategia di non finire i discorsi anche per eludere un confronto diretto. L'ossessione di Jonas nei confronti delle parole si acuisce quando si misura con la mediocrità di chi gli sta intorno e allora grida: «Precisa!» quasi a voler esortare il resto del mondo a stare al suo passo. Egocentrico e incapace di andare oltre la superficie dei rapporti, soprattutto con la sua famiglia, è invece dedito al lavoro, soprattutto in termini di ricerca e approfondimento. La scrittura è un mestiere spietato che costringe a un'indagine accurata, a una definizione costante. Jonas è un intellettuale tout court, ironicamente malinconico, come molti altri personaggi a cui la Jansson ha dato vita nel corso della sua lunga carriera, e ci regala memorabili riflessioni anche sul mestiere della scrittura, sulla difficoltà nell'esprimere con semplicità i propri pensieri, e per semplicità non si intende pochezza di parole, ma il tratto essenziale che li caratterizza.
Anche ora che è andato in pensione, Jonas non ha smesso di scrivere e si è prefisso l'idea di pubblicare la biografia di un uomo di successo, imprenditore e politico, che per tutta la vita non ha fatto altro che criticare. Fare i conti con il signor Y - è così che viene chiamato il famigerato imprenditore che tanto ricorda il Berlusconi nostrano quando è diventato bersaglio di molti giornalisti e intellettuali risucchiati a loro volta in un vero e proprio vortice ossessivo-, significa in realtà fare i conti con la propria ombra. Esercizio faticoso e frustrante, come un gesto ripetitivo che continuamente ci sfugge. Se però non si conosce quella frustrazione è difficile pensare di poter evolvere. È questo che la Jansson compie, conducendo il suo protagonista, e con lui il lettore, nel campo di pietra, un tratto del bosco arido e scoglioso dove il passatempo di tirare sassi coincide con un tentativo di evoluzione. La Jansson è bravissima a condurre il lettore senza mai forzarlo, con troppe spiegazioni o paternali, la sua scrittura è lineare, pulita, suggestiva.
Al lettore il meraviglioso compito di riempire lo spazio bianco tra le righe, perché la Jansson, come tutti i grandi scrittori, ha fiducia nelle sue, nostre, capacità intellettive.
Tove
Jansson
Jansson
Nata a Helsinki nel 1914 da padre scultore e madre illustratrice, appartiene alla minoranza di lingua svedese ed è considerata “monumento nazionale” in Finlandia, dove nel 1994 le celebrazioni per il suo ottantesimo compleanno sono durate un intero anno. È nota in tutto il mondo per i suoi libri per l’infanzia, …
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