Approfondimento

Karel Čapek Il «Viaggio» da scoprire. Se a Capo Nord vedi la luce dell'Eternità le guerre degli uomini non hanno più senso

Approfondimento

Karel Čapek Il «Viaggio» da scoprire. Se a Capo Nord vedi la luce dell'Eternità le guerre degli uomini non hanno più senso

Data: 16 Aprile 2022

Una recensione di Bruno Ventavoli a «Viaggio al Nord» di Karel Čapek, pubblicata su La Stampa - TuttoLibri il 16.04.2022

Nel 1936 lo scrittore cecoslovacco partì per la Scandinavia mentre sull'Europa si agitava lo spettro del conflitto Tra aurore boreali, lapponi che vendono souvenir e potenza della natura trova le radici del tempo e dello spazio

La natura, si sa, non facit saltus. Ma l'Europa degli anni 30 isterizzata dai nazionalismi se ne infischiava della continuità geografica dei paesaggi. Anzi, esaltava i «salti» etnici, i sacri confini, tracciati con matite e propaganda sulle mappe dei trattati di pace (che preparavano nuove guerre). Karel Čapek, che nel '35 partì per la Scandinavia invece non ce la fa a vedere nazioni, aveva occhi solo per il panorama indiviso e per gli uomini di buona volontà che vivono in armonia con esso. Varcando la linea divisoria tra Germania e Danimarca, si chiede per esempio con studiato candore «dov'è che finisce l'una e comincia l'altra?». I prati sono verdi allo stesso modo, stesse mucche bianche e nere, medesima pianura appena ondulata. Ti accorgi del cambiamento solo perché nello Jutland i portalettere sono vestiti di un bel rosso, invece che blu, e perché di là i capistazione sembrano vecchi amabili lupi di mare e non «veri capistazione» come di qua. E persino il castello d'Amleto, da cui un tempo partivano micidiali cannonate, ora spara solo innocue bordate a salve.

Per questo indomabile empito pacifista il suo Viaggio al Nord, uscito nel '36 e ora tradotto in italiano, è un piccolo gioiello indiscreto alla vigilia della seconda guerra mondiale. Un petit tour al contrario, in cerca di abeti, fiordi, aurore boreali, invece delle classiche rovine mediterranee sovraccariche di storia contesa e imperi vanagloriosi. Il diario del testo è intervallato da disegnini a lapis per integrare con le immagini ciò che le parole non riescono a dire e restituire tutto lo stupore che riempiva ogni giorno gli occhi del viaggiatore («uno strumento divino, la parte migliore del cervello!»).

Nato nel 1890, e morto nel '38, Čapek fu giornalista, scrittore, drammaturgo. Amante come tanti praghesi dell'assurdo e della magia, fu un notevole autore di fantascienza. La sua opera più celebre è R.U.R. perché lì, si dice, nacque la figura del moderno robot. La parola nelle lingue della zona, e pure in ungherese, indicava le corvée feudali. Lui la usò per denominare una categoria di uomini artificiali, costruiti (come il celebre Golem argilloso di Rabbi Loew), solo per lavorare e non provare sentimenti. Dato che era un utopista e credeva nel bene il dramma teatrale ha una fine lieta, i roboti si ribellano ai padroni e scoprono la capacità di amare. Verso l'ultima parte della sua carriera s'impegnò sempre più nel pacifismo, preoccupato dalle mire espansionistiche dei Paesi intorno alla sua Cecoslovacchia (Nel '38 Hitler entrò nei Sudeti e l'Ungheria horthista si riprese fette di Slovacchia sgraffignate dal Trattato di Trianon). E proprio per prendersi una vacanza dalle tensioni internazionali, dalle bandiere, dalla volontà di (im)potenza, dalla fregola di annettere territori se ne andò a Capo Nord. Quel suo ottimismo era eccessivo, e fu in parte smentito dalla Storia, perché il fascino guerriero del Reich arrivò anche lassù. L'amato Hamsun, tanto per fare esempi, finì in manicomio per collaborazionismo con i tedeschi e nella neutralissima Svezia (con un esercito di cartapesta come raccontò Dagerman nel Serpente) l'arianesimo nazista attecchì volonterosamente.

Per uno che ha letto Strindberg, Ibsen, Lagerlöf, le fiabe di Andersen o le avventure di Amundsen, è come tornare in luoghi famigliari della fantasia. Potrebbe addirittura essere un pellegrinaggio istruttivo per le questioni razziali di cui si fa un gran vociare. Lassù la pura razza germanica è una realtà tangibile e piacevolissima. Sarebbero tutti alti, belli, biondi, sennonché «amano la libertà, la pace, tengono alla propria dignità, non si lasciano dominare facilmente, e non hanno bisogno di qualcuno che la guidi» (non esattamente ciò che teorizzava il Führer con Rosenberg).

La prima tappa di Čapek è la Danimarca di latte, burro, fattorie rosse, criniere di cavalli. «Una grande e bella fattoria che Il Creatore si è preso cura di far prosperare». Nessun poliziotto in giro. Le dodici guardie con spropositati colbacchi di fronte al palazzo reale sono «metà del nostro esercito». Poi segue la Svezia, altrettanto beata, pacifica, operosa e colorata. Nella Biblioteca universitaria c'è uno dei libri più preziosi al mondo, la Bibbia gotica di Wulfila, scritta in argento su pergamena porpora. All'epoca di Rodolfo, quel gioiello si trovava a Praga, ma gli svedesi se lo portarono via come bottino al tempo della guerra dei trent'anni. Un cotanto tesoro potrebbe risvegliare revanscismi, retoriche di restitution, invece il placido Čapek suggerisce che in fondo fa piacere vedere queste cose all'estero insieme ai manoscritti dei generali che si scannarono nella sfortunata (per i boemi) battaglia della montagna bianca.

La gran parte del viaggio si svolge però in Norvegia. Čapek si imbarca sulla Hakon Adalstein e risale fine a capo Nord. Qui la terra è più selvaggia. I villaggi son fatti di gente che fatica e vive in povertà, aggrappati a una chiesetta. La natura matrigna o materna chissà, è di stupefacente bellezza. Rocce, nebbie, fiordi, laghi ombrosi, vallate fitte di betulle, ghiacciai: lo scrittore Čapek, che ha saputo immaginare mondi inesistenti, sembra colpito da afasia al cospetto di una realtà tanto sublime. Teme che le parole siano insufficienti. Bastano per parlare d'amore o di fiori di campo, ma come si fa descrivere il profilo di una vetta, le increspature del mare? Disegna forsennato schizzi su schizzi di quei paesaggi deserti, con le dita intirizzite dal vento gelido, per fissare i ricordi. E la navigazione diventa quasi un viaggio sciamanico alle radici del tempo, smarginato dal giorno artico che non conosce il crepuscolo. Poi, d'un tratto, appare Capo Nord. Una parete scura che piomba nell'acqua. Ecco la fine dell'Europa. Semplice e brusca. Il «nostro continente con tutta la sua storia, le sue armi, la sua voglia di autodistruggersi, visto da lì è ben poca cosa». Una ridicola e tragica vanità nell'indifferenza del creato annunciata dal sole di mezzanotte. Ora brilla come un cupo rubino rosso, ma fra milioni di anni anche lui «comincerà a invecchiare, raffreddarsi, scemare». I popoli scandinavi l'hanno capito, forse aiutati dalla Natura intorno, e hanno deciso di non farsi mai più la guerra, di cancellare le tracce di tante antiche contese. Perché nessuna vittoria è valsa la pena.

Čapek però deve tornare a casa sua. A bordo di un treno attraversa il delizioso paesaggio svedese. Varca di nuovo il Baltico. Si ritrova, dopo un lungo oblio dal presente, un giornale in mano che reca notizie di massacri dalla guerra di Spagna. Perché gli esseri umani continuano farsi del male? E perché quella piccola nave dove Čapek e gli altri passeggeri è stata smantellata per farne un cargo? (Il comandante scrive mesi dopo per annunciargli quella brutta riconversione commerciale). Perché tutto passa. Nasce e muore. E l'eternità, constata Čapek, ahimè non ci appartiene. O meglio, l'afferriamo per qualche brevissimo istante, ma poi sfugge come sabbia tra le dita. E la quotidianità, come scoprì Faust, è dannatamente dolorosa.
Karel
Čapek

Karel Čapek (1890-1938) è stato uno degli scrittori cechi più originali degli anni Venti e Trenta e la sua produzione ha ispirato gran parte della fantascienza europea e americana. Ingegnose e straordinariamente previdenti, piene di umorismo e arguzia, le sue opere esplorano e difendono l’umanità che è dentro ognuno di …

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