Approfondimento
Era alto un metro e aveva il cervello piccolo: il nanetto "Flo" è il mistero della paleontologia
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Era alto un metro e aveva il cervello piccolo: il nanetto "Flo" è il mistero della paleontologia
Una recensione di Marco Aime a «Noi, umani» di Frank Westerman, pubblicata su La Stampa - TuttoLibri il 19.02.2022
La scoperta dello scheletro dell'"Homo Floresiensis" nel 2003 riaccese il dibattito sull'evoluzione. Dalle sponde della Mosa all'Indonesia un giornalista-detective conduce un'indagine sui nostri antenati. La storia delle ossa si intreccia con quella degli scopritori e degli studiosi. Scavando si aprono dubbi su chi siamo e su come ci siamo raccontati.Frank Westerman ci ha abituati da tempo ai suoi affascinanti viaggi alla ricerca di una linea che connetta fatti apparentemente distanti tra di loro. È questa la cifra principale di uno degli scrittori europei più interessanti, che riesce a coniugare una corposa quantità di dati empirici, con una qualità letteraria davvero rara. Partendo da un aneddoto o da una curiosità, Westerman parte con lo spirito del reporter colto, per ricucire eventi e storie. In Pura razza bianca (Iperborea 2013) attraverso la storia dei cavalli lipizzani, dipinge uno splendido racconto dell'Europa e del XX secolo, passando per la passione verso questi «cavalli imperiali» di Hitler, Mussolini, Stalin, Tito e Ceauşescu, che diventano metafora del concetto di superiorità razziale, che ha ispirato gli esperimenti nazisti sulla purezza ariana come quelli sovietici per temprare il proletariato e le «pulizie etniche» nella ex Jugoslavia.
Il viaggio di Westerman si spinge molto indietro nel tempo, nella nostra preistoria, partendo dal ritrovamento, nel 2003, dell' Homo floresiensis, così chiamato perché scoperto sull'isola di Flores (Indonesia), un ominide destinato a riaccendere il dibattito sulle origini e l'evoluzione della nostra specie: risultava infatti alto poco più di un metro e dotato di una massa cerebrale estremamente ridotta. Una scoperta che apre molti interrogativi: esistevano uomini e donne così piccole? Oppure si trattava di un'eccezione? La storia di Flo, come viene chiamato l'omino, si intreccia con quella dei suoi scopritori e di coloro che in seguito hanno lavorato in campo paleontologico. Ne emerge una galleria variopinta di personaggi illustri e talvolta bizzarri, di grandi studiosi e di autodidatti capaci e talvolta fortunati. Spicca la figura brillante e tragicamente sfortunata di Theodor Verhoeven, prete archeologo, che per pochi metri non scopre, con cinquanta anni di anticipo, il prezioso scheletro di Flo, che convive con una donna per sposare la quale abbandonerà la toga. Che sosterrà l'ingiustizia del celibato per i sacerdoti e che durante la Seconda guerra mondiale contribuirà a salvare dei bambini ebrei, trovando loro un nascondiglio.
Questa volta l'autore non è solo, ma coinvolge in questo viaggio i suoi studenti del corso di Reportages, che tiene presso l'università di Leyda, i quali fungono da contraltare al suo discorso, ma mettono anche la ricca diversità di vedute sul significato di essere «umani». Già, cosa ci distingue dagli animali? Per esempio, il fatto che, dice Westerman: «mentre tutti gli altri esseri viventi vanno avanti chini sotto il diktat dei loro geni, l' Homo sapiens si ribella. Interviene nei processi biologici, sabotandoli». L'autore e i suoi studenti cominciano a interrogarsi su cosa è la «normalità». L'omosessualità è fuori dalla norma, perché va contro il principio di riproduzione? Allora lo è anche l'uso di un anticoncezionale. Flo è piccolo perché la norma, per quanto riguarda l'altezza siamo noi? Noi chi? Si scopre così che i maschi olandesi sono mediamente i più alti del mondo.
Più si scava nella storia della nostra specie e più si aprono dubbi su chi siamo e cosa siamo e su come ci siamo raccontati. Sì perché quello di Westerman non è solo un percorso a ritroso nella storia della nostra evoluzione, ma è anche e soprattutto un viaggio nella storia della scienza, che seppure goda di questa aura di sapere oggettivo assoluto, è stata spesso vittima della storia e delle idee dominanti nelle diverse epoche. Senza contare delle frequenti rivalità tra scienziati - umani che studiano gli umani - che ne hanno condizionato non poco il racconto.
La scrittura è sempre piacevole e avvincente e riesce con apparente semplicità ad attraversare molti confini disciplinari, dando così vita a un percorso assai più ricco e coinvolgente, proprio perché, come accade nella realtà, tiene insieme momenti ed elementi diversi, che sono però legati fra di loro. Evitando l'iper-specializzazione, Westerman ci mette, con delicatezza, davanti alla grande complessità della specie umana, in cui fattori biologici si intrecciano con elementi culturali e i confini non sono sempre ben definibili. Siamo il prodotto di milioni di anni di evoluzione, di scontri e di incontri nei quali ci siamo scambiati spermatozoi e idee, con buona pace dei paladini della razza, della purezza e dell'identità. Ecco perché bisogna pensare al di là di quei confini, spesso posti da noi stessi, per pensarci diversi e unici.
Con un tono e un andamento che fonde la ricerca con il giallo, si può dire che Westerman ha inventato un genere letterario, che fonde saperi diversi, per creare affreschi in cui non sempre la soluzione è netta o unica, ma proprio per questo risulta molto più attendibile. Perché insieme all'arte ostinata della ricerca storica, coltiva quella del dubbio, di cui la nostra storia, le nostre storie, sono piene.