Intervista
Pillole per un sillabario svedese
Intervista
Pillole per un sillabario svedese
Un'intervista di Ingrid Basso a Elisabeth Åsbrink, pubblicata su Il Manifesto il 7 aprile 2021
È possibile congiungere con una sola linea che attraversa i secoli Gustavo I Vasa e Zlatan Ibrahimovic, Linneo e Greta Thunberg, Pippi Calzelunghe e Lisbeth Salander, fino a far emergere un unico disegno che abbia un senso? Made in Sweden. Le parole che hanno fatto la Svezia (Iperborea, trad. it. di Alessandro Borini, pp. 384, euro 18) è un vero e proprio «lessico nazionale» capace di raccontare la storia di un paese attraverso personaggi e luoghi comuni che in realtà di «comune» hanno solo il fatto di essere molto citati, ma compresi davvero e messi tra loro in relazione mai.Elisabeth Åsbrink, già nota in Italia grazie a 1947 ( Iperborea 2018 ) , svedese di nascita, anglo-ungherese di origine, giornalista, drammaturga, questo sguardo gestaltico ce l'ha, e nei numerosi tableaux vivants narrativi che compongono il suo volume - in cui anche le celebri polpette Ikea sembrano assumere un ruolo cosmico-storico - nulla sembra accadere per caso.
Per chi è davvero pensata questa che lei definisce la sua personale «Song of Myself»? Chi è il lettore ideale?
Ho scritto questo testo prima di tutto per me stessa. Fin dall'infanzia sono sempre stata tormentata da un senso di non appartenenza: la pensavo sempre in modo differente dalla maggioranza, apparivo anche diversa (non ero bionda e mi sentivo sempre fare la stessa domanda: da dove vieni?). Mia madre era inglese, mio padre un rifugiato politico dell'Ungheria sopravvissuto all'Olocausto. Ho assaggiato per la prima volta il cibo svedese solo quando ho cominciato la scuola e c'erano un sacco di abitudini che non riuscivo a capire, però conoscevo bene la cucina e la poesia ungherese e parlavo fluentemente inglese. È stato solo grazie a un processo personale durato anni che mi sono resa conto che concetti come «identità» o «me stessa» non sono dei monoliti.
Quello che possedevo era un tesoro, non qualcosa di cui vergognarmi: avevo un'identità ungherese, inglese e svedese, un'educazione cristiana laica e un'eredità ebraica di cultura sia aschenazita che sefardita. E la consapevolezza di essere un individuo con diverse identità mi indicava ciò che la stessa società avrebbe potuto essere: un contenitore di moltitudini. In secondo luogo, a farmi sentire il bisogno di scrivere questo libro è stato il sorgere del partito populista di destra dei Democratici svedesi (le cui origini risalgono al nazismo).
Nel 2016 si cominciò a discutere dei cosiddetti «valori svedesi» e ovviamente si ebbe gioco facile a sottolineare le differenze tra ciò che era «svedese» e ciò che non lo non lo era. Coloro che reagirono contro questa distinzione sostennero che non esistono degli specifici valori svedesi. Io credo che sbaglino entrambe le parti, per questo ho deciso di scrivere Made in Sweden . Esistono certamente dei valori svedesi, per ragioni storiche, geografiche, per il clima, per le decisioni politiche ecc. Ho visto i miei genitori combattere contro alcuni e abbracciarne altri, io ho stessa l'ho fatto. Ma - ed è fondamentale - la destra populista è convinta dell'esistenza di un «anno zero» in cui è nata quella che è la «Svezia», in cui sono stati creati i «valori svedesi». Questa è una menzogna ridicola e stupida. Il mio libro copre duemila anni di «svedesità». Si vede chiaramente che molto è cambiato in questo lungo periodo. I valori sono materia viva, mutano continuamente. Mi ritengo fortunata, per esempio, ad essere nata donna in Svezia nel 1965 e non nel 1865, quando i valori svedesi (leggi, morale) per le donne erano terribili. Ciò che gli sciovinisti non capiscono è che gli ideali cambiano . È per questo che dobbiamo riscrivere le leggi, e abbiamo dibattiti importanti (come il MeToo o Black lives matter).
Lei crede che anche la Storia sia una narrazione come ogni altra? È per questo che, come scrive, le parole hanno così tanto potere?
La Storia è un lungo racconto. Uno storico (cosa che io non sono, benché tenda a lavorare in una maniera simile) è come una persona che cammina su una spiaggia in cerca di conchiglie o stelle marine. Le trova, sanno di salsedine, portano con sé informazioni sull'ambiente marino, ma il mare, la loro origine, è un qualcosa che è molto più grande e imprevedibile. Uno storico raccoglie pezzi di tempo e li interpreta, ma il tempo stesso non può essere afferrato.
Ha descritto il sistema sociale svedese come costruito al fine di proteggere l'indipendenza del singolo (se sono in difficoltà, è lo stato che pensa a me, non la mia famiglia). Che cosa viene prima in ordine di importanza, la comunità o l'individuo? E a questo proposito, ha detto che Zlatan Ibrahimovic è «diventato svedese prima degli svedesi»...
Il capitolo dedicato a Zlatan descrive le trasformazioni avvenute di recente nella società. Ma se andiamo indietro, fino agli inizi del XX secolo, la Svezia era una monarchia conservatrice con legami sociali, culturali, molto stretti con la Germania. La Germania era per la Svezia ciò che gli Stati Uniti sono adesso per il mondo. La democrazia ha fatto fatica ad affrancarsi da questa società autoritaria. Nella storia svedese c'è anche una grande tradizione culturale di individui solitari e forti. Esiste anche un vecchio modo di dire che si sente spesso ripetere: Ensam är stark , «chi è solitario è forte». Ma la democrazia è stata guidata da un movimento collettivo, dai socialdemocratici e dal sindacato dei lavoratori.
Intrecciato con questi movimenti c'era anche quello cristiano, detto della «Chiesa libera», ovvero quei cristiani che avevano lasciato la Chiesa di stato svedese, gerarchica, per lavorare con il popolo, in modo democratico. Poi c'è stato il movimento femminile, che ha avuto grande importanza. Quindi, malgrado la Storia (con la «S» maiuscola), la Svezia è storia , racconto, sia di individui che di collettività. Quel che la biografia di Zlatan descrive è il crollo della Svezia costruita collettivamente e dei suoi valori. Emerge ora un nuovo svedese, che non ha paura di mettere al primo posto i suoi bisogni, contribuendo alla squadra, certo, ma solo se conveniente per lui. Le strutture collettive della società svedese sono state deliberatamente distrutte nel corso degli ultimi trent'anni, per essere rimodellate. È stata opera tanto dei democratici quanto dei conservatori.
Nel suo libro si racconta che la Svezia per tradizione si mette sempre al comando in tutti i dilemmi morali del mondo: è accaduto per ragioni storico-contingenti o è il segno che esiste lo «spirito di un popolo»?
Dobbiamo questo ruolo praticamente a un solo uomo: Olof Palme. Negli anni Sessanta il mondo era dominato da due superpotenze. Lui si rese conto che la Svezia non sarebbe mai stata in grado di diventare una superpotenza politica o economica. Ma poteva esserlo da un punto di vista morale. Credo che alla base di tutto ci fosse un grande senso di colpa, connesso con la seconda guerra mondiale. Mentre il resto dell'Europa veniva bombardato e distrutto, e gli altri paesi nordici avevano subito l'occupazione nazista, la Svezia non aveva sofferto. Non era semplicemente neutrale, in realtà si era arricchita moltissimo grazie all'importazione ed esportazione con la Germania nazista (il mio libro parla anche di questo).
Fino al 1943 la Svezia era stata molto dura nei confronti degli ebrei che cercavano rifugio e praticamente li ha respinti tutti. Questa necessità di essere un Paese «buono», all'avanguardia nelle questioni morali, ha radici profonde e molteplici.
«Lisbeth Salander non sarebbe esistita senza Pippi Calzelunghe»: è un'affermazione interessante. Perché? E crede che potremmo considerare Greta Thunberg della combriccola?
La spiegazione di questa affermazione si trova in un articolo che ho scritto per The Passenger. Svezia ( Iperborea, 2020 ndr ) . Abbiamo una lunga tradizione pedagogica in Svezia, a partire da Ellen Key, che pubblicò il suo celebre volume Il secolo del bambino nei primi del Novecento. Le sue idee sul creare degli individui dai più piccoli rispettandoli, non picchiandoli ecc., hanno ispirato anche Maria Montessori e furono alla base della Dichiarazione sui diritti del bambino promulgata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Quando scrisse Pippi Calzelunghe , Astrid Lindgren aveva come modello Ellen Key. Tutto ciò ha contribuito anche al fatto che la Svezia sia stata il primo paese al mondo a proibire ai genitori ogni specie di punizione corporale nei confronti dei figli. Pippi Calzelunghe è il prodotto di queste idee contrarie all'autoritarismo.
Anche Stieg Larsson si ispirò a lei, si considerava uno scrittore femminista, per questo concepì Lisbeth Salander come una Pippi Calzelunghe più vecchia, sempre sola, non dipendente da nessuno, non assoggettata ad alcuna regola, ma le ha aggiunto la sessualità, visto che è una donna e non più una bambina. Greta Thunberg è il prodotto da una parte dell'idea svedese della bambina indipendente, dall'altra dell'eredità lasciata da Olof Palme, cioè l'idea dell'essere coscienza sociale del mondo.