Intervista

La parola al traduttore: Eva Valvo intervista Bjarne Reuter

Intervista

La parola al traduttore: Eva Valvo intervista Bjarne Reuter

Data: 31 Maggio 2020

Bjarne Reuter, uno degli scrittori più amati della letteratura danese per l'infanzia, torna a incontrare i giovani lettori italiani

Negli ultimi anni diversi editori italiani stanno riscoprendo classici contemporanei, soprattutto di altri paesi, che in Italia sono stati dimenticati oppure non sono mai stati tradotti. Qualcuno la chiama “biblioarcheologia”: una pratica che sicuramente arricchisce i nostri scaffali e i nostri immaginari di storie e personaggi al tempo stesso vecchi e nuovi.
In un contesto del genere, può risultare particolarmente fruttuosa la collaborazione fra i traduttori (anche se forse sarebbe più giusto dire le traduttrici!), che spesso hanno una conoscenza approfondita delle letterature straniere non limitata alle novità del momento, e gli editori interessati a costruire un catalogo di qualità che punti a titoli non destinati a scomparire dalle librerie dopo poche settimane. Uno di questi incontri fortunati è stato all’origine della pubblicazione di “Elise e il cane di seconda mano” del danese Bjarne Reuter, in uscita nella collana “I Miniborei” di Iperborea. Speriamo che sia anche l’occasione per riscoprire un grande autore poco conosciuto nel nostro paese, i cui unici due libri tradotti in italiano sono purtroppo fuori catalogo.
“Elise e il cane di seconda mano” non è un testo “d’epoca”, dato che è stato pubblicato in Danimarca nel 2016, ma a Bjarne Reuter lo status di “autore classico contemporaneo” non manca di sicuro. È definito unanimemente lo scrittore danese più popolare del suo paese. Nato nel 1950 a Brønshøj, un sobborgo di Copenaghen, ha debuttato nel 1975 con un libro per ragazzi umoristico, ma non per questo superficiale, che segnò una svolta importante nella letteratura per ragazzi del tempo, tendenzialmente “seria” e socialmente impegnata. Da più di trent’anni Reuter è l’autore più letto nelle biblioteche danesi, con oltre un milione di prestiti all’anno. La lista dei premi che ha ricevuto è lunghissima e include anche prestigiosi riconoscimenti internazionali come il Deutscher Jugendliteraturpreis.
Dal suo debutto a oggi, ha scritto un centinaio di libri, spaziando tra i generi più disparati. Reuter scrive indistintamente per bambini e lettori adulti, muovendosi a suo agio tra la scrittura di gialli e quella dei fantasy, romanzi storici e umoristici e perfino storie dell’orrore. Di questo e altro abbiamo parlato insieme a lui.

Cosa ti fa scegliere un genere letterario piuttosto che un altro? E da dove vengono le storie che racconti?

Considero i generi letterari come strumenti musicali e non ho voglia di limitarmi a suonarne uno solo. Così come amo molto suonare il contrabbasso, la chitarra e il violino, mi piace muovermi liberamente tra generi letterari diversi. Mi dà un grande senso di libertà. Non so da dove vengano le storie; so che mi si presentano e chiedono di essere scritte e raccontate. A volte mi sento un semplice portavoce.

Parliamo di "Elise e il cane di seconda mano", che sta uscendo in traduzione italiana (oltre a essere già stato tradotto in inglese e tedesco). Elise vive da sola con il papà a Copenaghen, mentre la mamma lavora in Brasile per costruire un ponte sospeso nella giungla. In mezzo a una galleria di personaggi strampalati e teneri, l’amicizia con un buffo cane parlante che puzza di formaggio è fonte di avventure, risate e consolazione. È un romanzo pieno di burle, che sa essere al tempo stesso divertente e malinconico ed è stato definito da una critica un “Reuter DOC”. Cosa significa per te questo libro?

Elise e il cane di seconda mano è in gran parte basato su una storia reale e parla di nostalgia, di solitudine e della capacità di superare i momenti difficili. Si dice che la fede sposti le montagne, e mi ricordo che una volta, da bambino, chiesi a mio padre se fosse vero. Lui rispose: Certo che è vero! Altrimenti come faremmo a spostare le montagne? La fantasia e la creatività dei bambini hanno la capacità di rompere i confini del razionale: per me è un pensiero liberatorio e consolatorio.

Da Copenaghen ai lettori di tutto il mondo. I tuoi libri sono stati tradotti in oltre venti lingue: dal ceco al giapponese, dall’estone al portoghese. Come ci si sente a essere tradotti in lingue sconosciute o magari perfino esotiche?

Di recente sono stato tradotto in russo e in ebraico, e mi sono lasciato ispirare dalle conversazioni con i miei traduttori ed editori, nella consapevolezza che i libri e le storie non sono letti allo stesso modo in tutti i luoghi. Dalla corrispondenza con i miei lettori in Giappone, per esempio, noto una maniera diversa di leggere e di identificarsi nelle storie, a seconda che si
viva a Tokyo o a Gerusalemme. Credo che i libri siano un passaporto per un mondo interiore e che in tal modo possano spianare la strada per una maggiore comprensione e tolleranza reciproca.

Hai festeggiato di recente quarant’anni di carriera e già da tempo sei stato definito l’autore più popolare della Danimarca. Quali sono i tuoi modelli letterari?

Nei periodi in cui non scrivo, leggo. E proprio per questo sono molto selettivo in fatto di letture e scelgo con molta cura cosa leggere. Alice Munro oppure Elsa Morante (di cui non mi stanco mai) oppure una poesia del tutto nuova. Sono un grande ammiratore di tanti autori, ma non ho mai avuto dei modelli. Leggere è come viaggiare, e spesso mi sento intrappolato tra il desiderio di partire e la nostalgia di casa, una condizione perfetta per scrivere e per leggere.

Hai un libro preferito tra i tantissimi che hai scritto?

Tanti anni fa, nel 1988, ho scritto un libro intitolato “Månen over Bella Bio” (La luna sul cinema Bella), che parla di un ragazzo che cresce a Brønshøj alla fine degli anni Cinquanta. È un romanzo a cui sono molto legato, perché mi ricorda il bambino che sono stato.


(l’intervista è apparsa su Andersen, N. 372, maggio 2020)