Intervista

«533»: la parola al traduttore

Intervista

«533»: la parola al traduttore

Data: 2 Agosto 2019

Qualche domanda a Fulvio Ferrari, per scoprire com'è stato tradurre dal nederlandese «533. Il libro dei giorni» di Cees Nooteboom

È uscito il 3 luglio in libreria «533. Il libro dei giorni» di Cees Nooteboom, scrittore olandese considerato tra i più importanti del nostro tempo. Come gran parte delle traduzioni italiane dei suoi libri, anche questa porta la firma di Fulvio Ferrari, traduttore di vastissima esperienza sia dal nederlandese sia dalle lingue scandinave e dal tedesco, oltre che professore di Filologia germanica all’Università di Trento. A lui, profondo conoscitore di Nooteboom e suo lettore «speciale», abbiamo rivolto qualche domanda per cominciare a conoscere questa novità di Iperborea.


Comincerei dalle difficoltà che può incontrare il traduttore di Nooteboom. Quella più evidente sembra la quantità di rimandi culturali, espliciti e a volte impliciti, per giunta passati al filtro di altri rimandi e di esperienze personali: non gioco erudito ma assimilazione e rielaborazione, con i risultati spesso sorprendenti che vediamo anche in «533. Il libro dei giorni». E qui il traduttore può salvarsi solo con la propria cultura. Fa da contraltare, però, uno stile piano, privo di ostentazione. E quando si parla di «semplicità» di stile, si tende a pensare che la resa in un’altra lingua sia altrettanto semplice. È così?

Il fitto tessuto di rimandi culturali che caratterizza i testi di Nooteboom rappresenta indubbiamente una difficoltà per il traduttore. Soprattutto quando l'autore - e accade piuttosto spesso - non indica esplicitamente l'opera a cui allude. Spesso il traduttore deve registrare dei segnali, quasi degli ammiccamenti nel testo, per attivare la propria enciclopedia o, visto che nessuno è dotato di un'infinita enciclopedia personale, per mettersi a cercare in rete i possibili riferimenti. Naturalmente l'autore gioca con il lettore, gli tende delle trappole e spetta al lettore accettare il gioco. Il problema è che, mentre al semplice lettore può sfuggire un riferimento (perdere al gioco, quindi) senza compromettere la comprensione dell'intero testo, il traduttore è costretto a capire tutto, a riconoscere tutto per poter ricreare nella lingua di arrivo le stesse trappole escogitate dall'autore nell'originale. A questo si aggiunge che la prosa di Nooteboom appare semplice, colloquiale, ma in realtà non è semplice affatto. Proprio la «colloquialità» comporta un andare e venire del pensiero, una scrittura che torna a volte su se stessa, si precisa, si modifica. Un gioco non sempre semplice da riprodurre in una lingua diversa.


Per «533» hai incontrato delle difficoltà specifiche, che non avevi dovuto affrontare in altri libri di Nooteboom?

Diciamo che ho dovuto pormi una serie di domande sulla botanica che in passato non mi era mai capitato di pormi. Poi è chiaro che ogni libro è una storia a sé, con difficoltà sempre nuove.


Tra le molte riflessioni sorprendenti di questo libro, ce n’è una che riguarda l’esperienza della lettura: «C’è solo un modo di leggere, quello attraverso la paranoia: tutto è stato scritto esclusivamente per chi in quel momento ha in mano il libro.» Di che lettore sta parlando Nooteboom? E quanto è diversa la lettura professionale, per esempio di un accademico o di un traduttore?

Credo che Nooteboom parli dell'esperienza di un lettore molto particolare, che potremmo definire il «lettore erudito»: il lettore che si muove in un ampio mondo di opere letterarie e le mette in dialogo tra di loro cercando di trovarvi un filo d'Arianna per la propria esperienza di vita. L'accademico è molto più concentrato sull'analisi, è alla ricerca dei diversi piani di significato di un testo e della rete di riferimenti che mette in relazione ognuno di questi piani con altri testi. Il traduttore – almeno nella mia esperienza – è invece costantemente impegnato in una partita con lo stile, che cerca affannosamente di riprodurre nella lingua d'arrivo. Una partita da cui esce sempre almeno un po' sconfitto. Sconfitto, in genere, tanto più duramente quanto più la lingua d'arrivo è lontana da quella di partenza.


Per te traduttore è importante sapere che l’autore del libro cui stai lavorando è raggiungibile con un’email o una telefonata, com’è il caso di Nooteboom?

Certo, questo fornisce al traduttore una rete di salvataggio. Sapere che alcuni punti particolarmente oscuri possono essere chiariti grazie a una spiegazione dell'autore è rassicurante. Bisogna però dire che a volte nemmeno gli autori ricordano esattamente cosa avevano in mente quando hanno scritto una certa frase. Inoltre, sapere che l'autore può leggere la traduzione – spesso gli scrittori sanno l'italiano abbastanza da poter controllare il testo tradotto – può anche dare una certa inquietudine.