Intervista

La parola al traduttore: Samanta K. Milton Knowles parla di Katarina Taikon

Intervista

La parola al traduttore: Samanta K. Milton Knowles parla di Katarina Taikon

Data: 5 Maggio 2021
Katarina Taikon è stata una scrittrice e attivista svedese con radici rom. Come molti altri rom della sua generazione, non ha avuto la possibilità di frequentare la scuola e ha dovuto imparare a leggere e scrivere da adulta. I suoi libri su Katitzi, pubblicati tra il 1969 e 1980 e diventati anche una serie tv, sono diventati classici della letteratura per l'infanzia in Svezia al pari di molti libri di Astrid Lindgren e sono stati di recente riscoperti in tutta la Scandinavia per la capacità di raccontare i pregiudizi e l'esclusione attraverso lo sguardo innocente e vivace di una bambina.

Samanta, tu sei una traduttrice esperta in letteratura per l'infanzia, come inquadreresti la scrittura di Katarina Taikon nel panorama della letteratura per l'infanzia in Europa?

Come scrittrice, Katarina Taikon è senza dubbio atipica. Innanzitutto ha imparato a leggere e scrivere quando era già grande perché durante la sua infanzia ai bambini rom non era permesso frequentare la scuola, come si legge anche nei libri di Katitzi. In secondo luogo i libri di Katitzi sono un’autobiografia romanzata dell’autrice stessa. Katarina Taikon è infatti stata un’attivista per i diritti dei rom e la scrittura nasce soprattutto dall’esigenza di raccontare un’esperienza di vita di cui si è parlato e tuttora si parla pochissimo. La sua scrittura, rispetto ad altri autori, è piuttosto grezza e poco rifinita, ma questo non le impedisce di parlare dritto al cuore dei lettori, piccoli e grandi. È proprio questa la sua potenza. Di conseguenza si inserisce nel panorama in maniera del tutto trasversale: da un lato la associo per esempio a «La bambina selvaggia» di Rumer Godden e a «Labambina» di Mariella Mehr per le tematiche, dall’altro la piccola Katitzi ricorda molte bambine libere e ribelli della letteratura nordica come Pippi Calzelunghe, Ronja e Lotta Combinaguai di Astrid Lindgren, Bibi di Karin Michaëlis e la piccola Mi del mondo dei Mumin di Tove Jansson.

Katarina Taikon affronta tematiche molto sensibili e dolorose come l'esclusione dalla società per motivi razziali e la violenza sui bambini: con che linguaggio si parla ai più piccoli di questi argomenti?

Con il solo linguaggio possibile: quello diretto. Parlare di tematiche difficili ai bambini suscita spesso ansia e preoccupazione, ma solo negli adulti. I bambini, infatti, sono in grado di comprendere situazioni problematiche con molta più apertura e facilità di quanto pensiamo noi adulti. In Katitzi, Katarina Taikon non nasconde nulla di ciò che vive la piccola protagonista. Il bullismo all’interno dell’istituto, le botte da parte della Signora, le difficoltà della vita dei rom, le preoccupazioni del papà per il benessere della famiglia... tutto viene raccontato. Sono libri che suscitano riflessioni nei bambini quanto negli adulti, spingendo alla condivisione di pensieri ed emozioni tra genitori e figli, tra insegnanti e alunni. La letteratura ha il magico potere, oltre che di intrattenere, di farci provare empatia per personaggi con storie ed esperienze lontane dalle nostre.

Tradurre letteratura per l'infanzia: quali sono le sfide più ardue che un traduttore deve affrontare, e quali di queste hai incontrato nella traduzione di «Katitzi nella buca dei serpenti»?

Le sfide che pone la traduzione di letteratura per l’infanzia, lo sottolineo sempre, sono spesso più ardue rispetto a quelle della letteratura per un pubblico adulto. In primo luogo per il linguaggio. Infatti, se nella letteratura pensata per gli adulti noi traduttori possiamo utilizzare un linguaggio che è il nostro, anche se talvolta di registro ed estrazione sociale diversi, nella letteratura per bambini e ragazzi dobbiamo usare un linguaggio che è stato nostro ma che non lo è più. Questo comporta un uso ancora più attento della lingua. Oltre, ovviamente, a nomi parlanti, giochi di parole e cose di questo tipo. In Katitzi nella buca dei serpenti, per esempio, c’è un gioco di parole tra «omen» – che significa «cattivo presagio» – e «ormen» – che significa «serpente». Era praticamente impossibile da rendere, perché la piccola Katitzi confondeva le due parole dato che non aveva mai sentito «omen». Dopo molti confronti con il revisore, abbiamo deciso di lasciare il cattivo presagio facendo credere a Katitzi che si trattasse di un tipo di serpente. Un’altra difficoltà sempre presente nei libri di Katitzi, ambientati negli anni Trenta e Quaranta, è la correttezza storica del linguaggio. Infatti le parole utilizzate devono essere coerenti con il periodo storico. Inoltre, i romanzi di Katitzi sono pieni di riferimenti alla cultura rom, ma in questo mi aiuta sempre Katitzi stessa facendo un sacco di domande ai suoi familiari, i quali le spiegano tutto con chiarezza.